Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 42546/2024, udienza del 7 novembre 2024, ha ripercorso le tappe giurisprudenziali più significative sugli elementi costitutivi delle due fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale disegnate dall’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall.
La prima fattispecie (c.d. “specifica”) consiste nella sottrazione o distruzione o falsificazione (totale o parziale) dei libri e delle altre scritture contabili e richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.
Anche l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma primo, n. 2, legge fall. A tal fine occorre, però, che la condotta omissiva sia sorretta (al pari delle altre ipotesi) da dolo specifico, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020).
Al riguardo va specificato che l’omessa tenuta (così come la sottrazione, distruzione o falsificazione) può essere anche “parziale” e che tale nozione ricomprende oltre alla mancata istituzione di uno o più libri contabili anche l’ipotesi della “materiale” esistenza dei libri contabili che però sono stati “lasciati in bianco”.
La seconda fattispecie (c.d. “generale”) è integrata dalla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita; questa ipotesi, diversamente dalla prima, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e si realizza attraverso una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020); sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017).
Quanto alla “falsificazione” che, in apparenza, sembra connotare entrambe le fattispecie, la Corte di cassazione, con indirizzo consolidato, ha tracciato la seguente linea di demarcazione: la condotta di falsificazione delle scritture contabili integrante la fattispecie di bancarotta documentale “specifica” può avere natura sia materiale sia ideologica, ma consiste, comunque, in un intervento manipolativo su una realtà contabile già definitivamente formata. La condotta integrante la fattispecie di bancarotta documentale “generale”, invece, si realizza sempre con un falso ideologico contestuale alla tenuta della contabilità. In altri termini, l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi nella contabilità (ovvero l’omessa annotazione di dati veri), sempre che la condotta presenti le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, integra sempre e comunque la seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritta dall’art. 216 comma 1 n. 2) legge fall. (così, da ultimo, in motivazione Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020).
Per rimarcare, in modo ancora più netto, la differenza rispetto alla fattispecie di “omessa tenuta”, anche parziale, occorre chiarire che rientra nella ipotesi “a dolo generico” il caso della omessa annotazione di dati veri allorché l’omissione consista non nella totale assenza di annotazioni, ma nella mancata annotazione di specifiche operazioni.
Proprio questo consente di cogliere la differenza tra bancarotta fraudolenta documentale “specifica” e “generale” e la ratio sottesa al diverso elemento soggettivo richiesto: nel caso della bancarotta “generale” la fraudolenza è pressoché insita nella condotta materiale di alterazione della valenza delle scritture, sicché è sufficiente il dolo generico; mentre nel caso della bancarotta “specifica” l’elemento oggettivo è polivalente sicché è richiesta una specifica direzione della volontà.
In questa ottica le annotazioni incomplete, che incidono sul principio di continuità impedendo di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari (non come evento del reato, ma come carattere modale della condotta), danno comunque la parvenza che la contabilità rifletta l’operatività dell’impresa e dunque creano quell’inganno che è punito nella “bancarotta generale”.
Nel caso in rassegna la sentenza fa generico riferimento a scritture incomplete, non vidimate, e frammentarie, senza indicare però in maniera specifica se – come sembra – vi siano dei libri non istituti o comunque totalmente privi di annotazioni (a partire da un certo esercizio in avanti) rispetto ad attività comunque svolte e ad operazioni compiute oppure se i libri siano stati istituiti e annotati ma solo in parte, così da creare una parvenza di affidabilità.
Ne consegue che il fatto ricostruito in sentenza non consente di comprendere se ci si trovi di fronte a un caso rientrante nella bancarotta fraudolenta documentale specifica o in quella generale oppure, ancora, se ricorrano entrambe le ipotesi (così effettivamente contestate) che possono convivere in relazione non alla medesima condotta ma a condotte storicamente diverse susseguitesi nel tempo, pur dando vita a un reato unico, essendo unica la determinazione criminosa.
In assenza di questi dati fattuali, che spetta al giudice di merito indagare, non è possibile stabilire se la fattispecie in rassegna richieda il dolo specifico o solo quello generico cui ha fatto unicamente riferimento la sentenza impugnata.
