Il racconto di due persone stritolare dalla macchina della giustizia e dalla sua propaggine operativa: inquirenti e giudici.
Forse avrei dovuto usare il verbo demolire ma non è altro che un sinonimo di stritolare inteso come annientare, rompere ridurre in pezzettini ed è quello che è accaduto a due innocenti che hanno conosciuto il carcere e una dei due è rimasta così traumatizzata dall’esperienza di scegliere di dichiararsi colpevole per non avere più nulla a che fare con il sistema giustizia e l’altro che dopo 30 mesi di carcerazione preventiva e sei anni di processo per veder riconoscere la sua innocenza, prende l’indennizzo e fugge in America latina.
Abbiamo avuto un ex ministro della Giustizia che ha dichiarato alla stampa che: “Gli innocenti non finiscono in carcere”: tale asserzione si scontra con i dati che lo stesso Ministero dirama ogni anno e con la breve storia, che mi accingo a raccontare, di una innocente che si dichiara colpevole per non avere più nulla a che fare con la giustizia che non l’ha creduta quando raccontava il vero e l’ha imprigionata per “convincerla” a dire il falso.
Nella vicenda processuale che racconto ci sono due innocenti che finiscono in carcere nello stesso procedimento per delle accuse infamanti, il primo per l’omicidio di una ragazza si farà 30 mesi di carcerazione preventiva e la seconda 3 mesi per favoreggiamento.
Per i tanti che “credono” che gli assolti siano persone che la fanno franca raccontiamo di innocenti che sono stati stritolati dal sistema giustizia.
Nelle aule dei Tribunali accade anche che una persona che patteggia la pena, quindi si dichiara colpevole, venga successivamente assolta perché il fatto non sussiste!
Infatti, parleremo di un caso che nella prassi giudiziaria raramente accade: la revisione di una sentenza di patteggiamento.
La vicenda è accaduta alla Signora VG, una tranquilla badante moldava che viene chiamata dalla Polizia per testimoniare in merito alla presenza nella sua abitazione di un indagato per omicidio.
La Signora VG ricorda chiaramente la circostanza e riferisce in maniera dettagliata orari e riferimenti precisi al fatto che effettivamente il Sig. AC fosse il giorno 1° dicembre del 2008, dalle ore 10,30 alle ore 16,00, presso la sua abitazione per svolgere un lavoro di riparazione e per poi fermarsi a mangiare.
La Procura della Repubblica di Roma non le crede e per ben 3 volte la convoca e sempre più insistentemente la mette alle strette. Gli inquirenti acquisiscono i tabulati telefonici delle utenze dell’indagato e della VG e raccolgono le dichiarazioni delle altre due persone che avrebbero dovuto parzialmente riscontrare l’alibi.
Dalla lettura dei verbali delle testimoni risultano delle parziali differenze, nell’indicazione degli orari ma sembrano scaturire dalla non perfetta conoscenza della lingua italiana. Infatti, sia la VG che le altre due donne ascoltate non sono italiane ma non vengono esaminate in presenza di un interprete perché tutte dichiarano di parlare e comprendere la lingua italiana. Errore fatale!
L’incalzare delle domande, l’uso di un linguaggio tecnico e il riferimento ad orari scanditi da minuti rendono le dichiarazioni delle tre donne poco lineari e concordanti tra di loro. Si arriva alla svolta, la mattina dell’8 ottobre del 2010, alle 5,00, la Polizia Giudiziaria suona al campanello e notificano una ordinanza di custodia cautelare per il presunto omicida e per la Signora moldava per favoreggiamento ed entrambi vengono trasferiti in carcere.
In sede di interrogatorio di garanzia si dichiarano innocenti, ma non vengono creduti sulla base del fatto che i tabulati telefonici dimostrerebbero che l’omicida si sarebbe trattenuto solo per una ora nell’abitazione. Quindi avrebbe avuto tutto il tempo per spostarsi e uccidere la giovanissima vittima e di conseguenza la moldava ha mentito.
Il Tribunale della Libertà conferma l’ordinanza e la Signora VG dopo 3 mesi di carcerazione preventiva viene scarcerata per scadenza termini. La Procura della Repubblica procede alla richiesta di rinvio a giudizio e all’udienza preliminare troviamo il presunto omicida in stato di detenzione carceraria e la VG libera con l’accusa di favoreggiamento. La prospettiva è quella di fare il processo in Corte di Assise, tempi lunghi, costi e uno stato d’animo provato la spingono a chiedere il patteggiamento.
Dopo tre mesi di carcerazione la prospettiva di subire un processo lungo e costoso e le ristrettezze economiche, in seguito dell’arresto, aveva perso il lavoro sono tutti buoni motivi per lasciarsi alle spalle la triste storia.
Davanti al Giudice dell’udienza preliminare di Roma si patteggia una pena di nove mesi di reclusione, pena sospesa.
Ma la Signora VG non rinuncia a testimoniare nel processo per l’omicidio e grazie al suo atto di coraggio civico e alle sorprendenti circostanze che in realtà l’attento esame dei tabulati telefonici confermano l’alibi dell’omicida e la vittima sarebbe morta per cause naturali, si arriva alla svolta. L’imputato AC viene assolto perché il fatto non sussiste dopo 2 anni 5 mesi e 7 giorni di carcerazione preventiva. Per questo orrore giudiziario si riesce ad ottenere il 24 gennaio 2017 dalla Corte di appello di Roma il risarcimento di euro 260.000,00, ma questa è un’altra storia.
Delineata la vicenda, entriamo nel particolare.
La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, sicché le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p., si come applicabile nel patteggiamento. Tale differenza rispetto ai parametri utilizzati nella revisione delle sentenze “ordinarie” trova la sua spiegazione nella peculiarità della pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in cui il controllo giudiziale è appunto limitato ad escludere la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.
Lo ha ribadito Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 25308/2015, 9 giugno 2015.
Per i giudici di piazza Cavour, l’estensione del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, ad opera della L. n. 234 del 2003, risulta notevolmente più contratta rispetto alla revisione ordinaria, in quanto nel caso delle pronunce ex art. 444 c.p.p., il giudice viene chiamato a stabilire se le prove sopravvenute alla sentenza definitiva e quelle scoperte successivamente siano tali da dimostrare “da sole” la necessità di un proscioglimento oppure se siano autonomamente in grado di gettare una nuova luce e di fornire una chiave di letture radicalmente alternativa degli atti del procedimento concluso con il patteggiamento, atti che di per sé non erano tali da reclamare l’adozione di una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
In caso contrario, – conclude la Corte – “la revisione cesserebbe di essere un mezzo di impugnazione straordinaria e diverrebbe, in relazione al patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in dubbio una decisione da lui stessa richiesta e riaprire integralmente la fase dell’accertamento dei fatti e della responsabilità” (così, Sez. 6, 24 maggio 2011, n. 31374; Sez. 3 sent. 13032/14 e 23050/13; sez. 4 sent. 26000/13).
Ed ancora più recentemente, Cassazione sezione 2 sentenza numero 24365 del 23 giugno 2022: “è ammissibile la richiesta di revisione di una sentenza di patteggiamento per inconciliabilità con l’accertamento compiuto in giudizio nei confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto separatamente ma è, tuttavia, necessario che l’inconciliabilità si riferisca ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non già alla loro valutazione”.
Principio ribadito tra le tante da (Sez. 1, n. 15088 del 08/01/2021, Elia, Rv. 281188 – 02; Sez. 5, n. 10405 del 13/01/2015, Rv. 262731 – 01); – in ogni caso, «in tema di giudizio di revisione, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilità tra giudicati ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il giudizio sull’ammissibilità o meno della domanda di revoca della sentenza non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione tra le due sentenze che si assumono in contrasto, non potendo il giudice limitarsi a verificare esclusivamente l’irrevocabilità della decisione che avrebbe introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale sentenza ai fatti oggetto del giudizio di condanna» (Sez. 2, n. 29373 del 18/09/2020, Nocerino, Rv. 280002 – 01).
Nel caso in esame, c’è una sentenza definitiva di assoluzione per l’omicidio che rende inconciliabile la sentenza di patteggiamento e su questo presupposto viene redatta la richiesta di revisione alla Corte di appello di Perugia che in data 22 aprile 2016, ha revocato la sentenza emessa in data 15 luglio 2011 dal Gup di Roma ed ha assolto la Signora V.G. perché il fatto non sussiste!!!
Finalmente, dopo circa sei anni dall’arresto si arriva a mettere un punto sulla triste storia che ha segnato in maniera indelebile la Signora VG, che ancora oggi non riesce a parlare della sua odissea.
Pochi giorni fa mi ha riferito di avere ancora gli incubi e di sognare di risvegliarsi in carcere e provare l’umiliazione di non essere creduta e mi dice: “avvocato, sono stata stritolata e ridotta uno straccio, io ho sempre detto la verità perché credevo nella giustizia”.
Alle sue parole mi viene in mente un proverbio amaro che tengo a mente ma senza menzionarlo per non infierire: “Chi va a cercar giustizia va a cercar guai”.
