La disattenzione di un giudice può comportare gravi conseguenze per il malcapitato di turno (imputato o parte civile) sottoposto al suo giudizio.
Un proverbio dice “quattro occhi vedono meglio di due” e per logica sei occhi dovrebbero essere infallibili ma non sempre è così.
La svista è dietro l’angolo o, meglio, la distrazione, parola che viene descritta nel vocabolario Treccani come: “stato del pensiero rivolto altrove e perciò assente dalla realtà attuale e circostante”.
La Cassazione ci racconta uno di questi casi di “pensieri altrove”.
La Suprema Corte sezione 3 con la sentenza numero 44009 depositata il 3 novembre 2023 si è trovata a decidere su un caso di concordato “fantasma” che inopinatamente nel breve tragitto tra l’aula e la camera di consiglio si è volatilizzato e non è stato preso in considerazione in sede di delibazione della sentenza.
Una sorta di smaterializzazione o, se preferite, levitazione giuridica, una sorta di luogo parallelo al reale dove sparisce nell’oblio del nulla un atto processuale.
La Cassazione osserva, in particolare, che con atto del 23 giugno 2022 il difensore del ricorrente aveva presentato richiesta di concordato in appello ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Il successivo 24 giugno 2022, l’Avvocato generale presso la Corte di appello aveva espresso il proprio consenso; all’udienza del 12 luglio 2022, infine, entrambe le parti avevano insistito per l’accoglimento della stessa proposta, e la difesa, in subordine, anche per i motivi di gravame.
La Corte si era quindi ritirata per decidere ma, al rientro in aula, il Presidente aveva dato lettura del solo dispositivo della sentenza, con irrogazione di una pena diversa – e più elevata – di quella proposta con il concordato.
Nel corpo della motivazione della stessa pronuncia, peraltro, non si riscontra alcun accenno, neppure implicito, al concordato medesimo ed alle ragioni del suo diniego.
Deve essere riscontrata, pertanto, una radicale assenza di motivazione sul punto, che impone l’annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello.
A parere della Suprema Corte, infatti, l’accordo raggiunto tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. è sempre soggetto al controllo (finale) di legalità sulla pena, che si esercita mediante la verifica dei presupposti per l’applicazione degli istituti che sono coinvolti dal concordato, quali la definizione giuridica dei fatti oggetto d’imputazione, gli eventuali elementi circostanziali, i benefici della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna, nonché al vaglio giudiziale sull’adeguatezza e proporzionalità del trattamento sanzionatorio individuato dalle parti. (tra le altre, Sez. 2, n. 30624 del 7/6/2023, Suma, Rv. 284869); di questa verifica, pertanto, la Corte di appello deve dar comunque conto, con una motivazione – espressa con ordinanza od implicita in sentenza – che, tuttavia, non si riscontra affatto nel caso di specie.
Appunto, un caso di concordato “fantasma” o come dice la canzone “tu chiamale se vuoi … distrazioni”.
