Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 41178/2024, udienza del 23 ottobre 2024, ha ribadito che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il diritto di proporre la domanda, e la connessa decorrenza del termine biennale di decadenza, sorgono nel momento in cui le condizioni indicate al comma primo dell’art. 315 cod. proc. pen. (irrevocabilità della sentenza di proscioglimento o condanna, inoppugnabilità della sentenza di non luogo a procedere, intervenuta notifica del decreto di archiviazione) si determinano con riguardo ai reati per i quali è stata disposta la custodia cautelare, a nulla rilevando che il procedimento eventualmente prosegua in riferimento a reati ulteriori, per i quali l’interessato non sia stato assoggettato a restrizione detentiva della libertà (Sez. 4, n. 31185 del 28/05/2003; Sez. 4, sentenza n. 12607 del 24/01/2005; Sez. 4, n. 38597 del 06/10/2010).
Ne consegue che, nell’ipotesi di plurime imputazioni cumulativamente trattate nello stesso procedimento ma decise con provvedimenti distinti, il dies a quo per l’esercizio del diritto alla riparazione va fissato alla data in cui è divenuta irrevocabile l’ultima decisione; con l’ulteriore conseguenza che l’istanza presentata anteriormente a tale data è inammissibile (Sez. 4, n. 2374 del 08/10/1996, dep. 1997); sul punto, la citata sentenza 12607/2005, ha difatti rilevato in parte motiva che «non appare dubbio che, nel caso di emissione della misura cautelare per una pluralità di reati, il termine per la riparazione decorra dalla data di irrevocabilità del provvedimento che definisce l’ultimo dei reati contestati – perché in caso di condanna per uno di questi reati la detenzione potrebbe ritenersi non ingiustamente sofferta».
Va poi osservato che il riferimento al criterio aritmetico – che risponde all’esigenza di garantire un trattamento tendenzialmente uniforme, nei diversi contesti territoriali – non esime il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, di integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle differenti situazioni sottoposte al suo esame (Sez. 4, sentenza n. 32891 del 24/11/2020 (ud. 10/11/2020 n. 10920), specificamente resa in fattispecie in cui la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con la quale il giudice distrettuale aveva provveduto alla liquidazione dell’indennizzo utilizzando, quale unico parametro idoneo a compensare tutti gli effetti derivanti dall’ingiusta detenzione, il solo criterio aritmetico, senza un adeguato approfondimento motivazionale in merito alla perdita di chances lavorative, sebbene adeguatamente provata; in senso conforme, Sez. 3, n. 9486 del 16/02/2024).
Specificamente, nella parte motiva di tale pronuncia, la Suprema Corte ha rilevato che, in considerazione della struttura del procedimento di riconoscimento della riparazione e della sua sottoposizione al principio della domanda, sussiste «il dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni della parte in merito alle conseguenze della privazione della libertà personale e, dunque, di esaminare se si tratti di danni causalmente correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze».
