Aberratio ictus: incidenza della reazione della vittima designata (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 34178/2024, udienza del 15 luglio 2024, ha delineato con chiarezza le caratteristiche dell’aberratio ictus la quale, secondo la previsione dell’art. 82 cod. pen., si verifica quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, l’offesa tipica della fattispecie criminosa è cagionata a una persona diversa da quella alla quale era diretta.

L’errore è estraneo al momento ideativo e volitivo del reato, e dunque alla relativa determinazione delittuosa, incidendo esclusivamente sull’oggetto materiale della condotta, la quale, invece di ledere il bene-interesse della persona nei cui confronti l’offesa era volutamente diretta, lede un bene-interesse altrui (Sez. 1, n. 4119 del 15/01/2019).

Un errore di tale genere lascia inalterata la punibilità, giacché l’offesa di una persona invece di un’altra non vale ad alterarne il significato obiettivo, né la direzione della volontà e i suoi contenuti (Sez. 1, n. 15990 del 6/04/2006; Sez. 1, n. 8353 del 27/06/1988); nella rappresentazione del fatto-reato, normativamente tipizzato, non ricade infatti l’identità personale della vittima prefigurata, che rimane dato esterno al fatto stesso (Sez. 1 n. 18378 del 2/04/2008).

L’accertamento dell’elemento psicologico del reato deve essere, dunque, effettuato nei riguardi della vittima programmata dell’azione delittuosa (e non di quella effettivamente lesa), avendosi poi, per fictio iuris, il trasferimento del medesimo stato psichico nei confronti della diversa persona concretamente attinta, nei cui riguardi il dolo sussiste ugualmente, con le stesse caratteristiche e intensità, stante la già richiamata indifferenza dell’intervenuto mutamento del soggetto passivo.

La condotta aberrante deve rimanere causalmente efficiente. Non si ha dunque aberratio ictus, ma difetto di causalità ex art. 41, cpv., cod. pen., quando l’intervento di fattori sopravvenuti non comporti la sola deviazione dell’offesa verso altra persona, ma abbia reso possibile il prodursi di un’offesa che, al momento della condotta, non era prevedibile come verosimile conseguenza, secondo la migliore scienza ed esperienza (Sez. 1, n. 6869 del 06/03/1984).

Il difetto di causalità, ostativo alla configurabilità dell’aberratio, presuppone l’intervento di una serie causale indipendente, di natura eccezionale e assorbente, che cagioni un effetto non più ragionevolmente riconducibile alla condotta del reo.

Il dolo dell’agente, riferito come si diceva alla vittima designata, deve in ogni caso, in base ai principi generali, assistere l’intero compimento dell’azione (Sez. 1, n. 16976 del 18/03/2003), riguardata alla stregua del suo essenziale orientamento finalistico e del criterio della necessaria persistenza dell’originaria intenzione delittuosa per tutto l’iter della condotta fino alla fase terminale.

Dell’omicidio di persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta risponde, in presenza delle previste e indicate condizioni, anche il concorrente morale, o il concorrente che non ha comunque posto in essere l’azione tipica, in quanto l’errore esecutivo non ha alcuna incidenza sull’elemento soggettivo della compartecipazione, essendosi comunque realizzata l’azione comune, il cui esito aberrante è privo di rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo (Sez. 1, n. 38549 del 08/07/2014; Sez. 1, n. 40513 del 21/09/2001).

E la stessa disciplina del c.d. concorso anomalo, contenuta nell’art. 116 cod. pen., può trovare applicazione nel caso di aberratio ictus, neppure qui incidendo la divergenza degli effetti della condotta illecita rispetto all’obiettivo originario sul tessuto psicologico dell’azione, nella trama del quale viene strutturalmente ad inserirsi il contributo del partecipe, ove ritenuto corresponsabile del delitto diverso da quello originariamente concordato (Sez. 1, n. 35386 del 05/06/2001; Sez. 1, n. 17098 del 24/11/1988, dep. 1989).

Nell’ottica del reato concorsuale, l’aberratio ictus è poi configurabile anche se la vittima attinta sia uno dei correi, ancorché autore o co-autore materiale della condotta.

L’azione collettiva, sostenuta da valido elemento psicologico, diretto alla commissione del reato, ha raggiunto lo scopo, ma l’esecuzione aberrante ne ha fatto ricadere le conseguenze su un compartecipe. Tale esito, per il principio dell’indifferenza del soggetto passivo nella prospettiva di cui all’art. 82 cod. pen., non produce (di per sé) un effetto liberatorio sulla posizione dei sodali.

La divergenza tra il cagionato e il voluto si determina, nel reato aberrante, per uno sviluppo non preventivato degli avvenimenti nel corso dell’esecuzione del reato medesimo, non necessariamente addebitabile ad un difetto di abilità dell’agente.

Lo sviluppo anomalo dell’azione, sussumibile nella fattispecie dell’art. 82 cod. pen., può dipendere anche dalla reazione della persona offesa, che, opponendosi alla lesione contro di lei diretta, riesca a dirottare l’offesa su altri. Una tale reazione non integra, in linea di principio, un decorso causale eccezionale, che possa escludere l’efficienza causale della condotta offensiva riconducibile all’esecutore materiale. Si tratta di un fattore ampiamente prevedibile, così come rientra nel novero degli accadimenti possibili, e statisticamente non così infrequenti, che detta reazione abbia la conseguenza di mutare il bersaglio finale dell’offesa, lasciandola punibile come se si fosse diretta sulla vittima designata.

Ciò a patto che la reazione della vittima non soppianti del tutto, nella produzione dell’evento, la condotta causativa terminale, rendendola all’agente non più riferibile. E a patto che tale condotta causativa terminale non solo risulti all’agente stesso psichicamente riconducibile, ma resti anche sorretta dal medesimo dolo iniziale di offesa.