Sentenze di condanna a pena pecuniaria, anche se in sostituzione, in tutto o in parte, di pena detentiva: appellabili o ricorribili per cassazione? (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, ordinanza n. 41708/2024, udienza del 23 ottobre 2024, dopo avere rilevato un conflitto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità attorno all’ammissibilità dell’appello avverso le sentenze di condanna a pena pecuniaria, anche se in sostituzione, in tutto o in parte, di pena detentiva, ha aderito all’orientamento favorevole.

In fatto

Il Tribunale, con la sentenza indicata epigrafe, nel giudizio di opposizione a decreto penale di condanna proposta da LD’A, imputato per il reato previsto dagli artt. 186, comma 2 lett. b) e 186, comma 2 sexies, cod. strada, ha dichiarato l’imputato colpevole del reato ascrittogli e lo ha condannato alla pena di euro 16.200 di ammenda, così convertita la pena di mesi sei di arresto, ed euro 1200 di ammenda, oltre ad applicare la sospensione della patente di guida per mesi sei.

Ricorso per cassazione

Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione LD’A, facendo valere un unico motivo di impugnazione, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 163 cod.pen., ed omessa pronuncia sul punto.

In particolare, il ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata non abbia motivato in ordine alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante ciò fosse stato esplicitamente richiesto a verbale, sebbene in via subordinata rispetto alla assoluzione.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è proposto avverso sentenza di condanna in parte alla pena dell’ammenda ed in parte alla pena pecuniaria, a seguito di conversione dell’originaria pena dell’arresto, per cui si pone il tema della sua appellabilità, ai sensi del disposto dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen.

…Esistenza di un conflitto interpretativo

In ordine a tale questione, si registrano precedenti di legittimità contrastanti.

…orientamento favorevole all’inappellabilità della sentenza di condanna a pena pecuniaria, anche se in sostituzione, in tutto o in parte, di pena detentiva

In particolare, Sez. 3, n. 20573 del 13/03/2024, in consapevole contrasto con l’altro arresto, ha ritenuto che è inappellabile la sentenza di condanna con la quale è inflitta la pena dell’ammenda, anche se in sostituzione, in tutto o in parte, di quella dell’arresto, per effetto del disposto dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 34, comma 1, lett. a), d. lgs. 22 ottobre 2022, n. 150, e della contestuale introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui agli artt. 20-bis cod. pen. e 53 e ss. legge 24 novembre 1981, n. 689. A sostegno di tale impostazione, la sentenza sviluppa essenzialmente il tema dei radicali effetti che la riforma Cartabia ha inteso realizzare sulla materia delle pene nel sistema sanzionatorio penale, posto che, quelle previste dalla legge n. 689/1981, non sono più rubricate «sanzioni» sostitutive, ma «pene sostitutive di pene detentive brevi».

Il testo attuale della norma, come sostituito dal d. Igs. 150/2022, stabilisce ora che «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva de/lavoro di pubblica utilità».

È, quindi, la legge stessa, nella sua vigente formulazione, che ritiene inappellabili le sentenze che applicano una pena – il lavoro di pubblica utilità – che «originariamente» non può essere edittalmente prevista, proprio in quanto «sostitutiva» di pena principale.

Si è sottolineato, inoltre, che la Corte di cassazione, ha avuto già modo di ritenere ammissibile il ricorso proposto avverso sentenza di primo grado che ha applicato il lavoro di pubblica utilità in sostituzione della pena detentiva (Sez. 4, n. 42455 del 11/10/2023).

Una lettura sistematica della norma, secondo l’orientamento in discorso, consente quindi di verificare che il legislatore ha inteso ampliare l’area dell’inappellabilità a tutte le pene sostitutive non detentive, confinando il regime di appellabilità alle sole pene sostitutive della semilibertà sostitutiva e della detenzione domiciliare sostitutiva, che invece incidono sulla libertà personale del condannato. Con il che, cadrebbe la tesi della necessaria «originaria previsione» della sola pena dell’ammenda.

…orientamento che ritiene invece appellabili le predette sentenze

Diversamente opinando, secondo quanto espresso da Sez. 4, n. 11375 del 30/01/2024, è appellabile la sentenza di condanna con cui è applicata la pena dell’ammenda in sostituzione di quella dell’arresto, anche alla stregua del disposto dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. 22 ottobre 2022, n. 150, che sancisce, in termini di tassatività, l’inappellabilità delle sole sentenze di condanna a pena originariamente prevista come ammenda.

Tale assunto è sostenuto in considerazione del fatto che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., nel prevedere l’inappellabilità delle sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata la sola ammenda, ha inteso riferirsi alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e non anche alle contravvenzioni astrattamente punibili con pena congiunta, e ciò anche se sia stata in concreto inflitta la sola pena dell’ammenda per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva.

È, dunque, ammissibile l’appello avverso sentenza di condanna per contravvenzione in relazione alla quale sia stata applicata, ex art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, la sola pena dell’ammenda come sanzione sostitutiva dell’arresto e ciò in ragione della revocabilità della sostituzione ex artt. 72 e 59 citata legge n. 689 del 1981 (nel testo in vigore prima della entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia), rispetto alla quale il sacrificio del secondo grado nel merito non è costituzionalmente ammissibile (Sez. 3, n. 14738 del 11/02/2016; Sez. 1, n. 10735 del 05/03/2009 – dep. 11/03/2009; Sez. 1, n. 6885 del 05/05/1995; Sez. 3, n. 1855 del 30/09/1993, dep. 1994).

…Condivisione del secondo orientamento

I principi su indicati, espressi dal secondo orientamento, devono essere ribaditi anche a seguito della entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia, come di recente affermato anche da Sez. 4, ordinanza n. 39612 del 2024.

Invero il testo dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come detto, è stato modificato solo per la previsione della inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, oltre che la sola pena dell’ammenda, anche la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, introdotta dall’art. 1 lett. a) d. Igs. n. 150/2020, attraverso l’inserimento nel Codice penale dell’art. 20-bis.

La stessa legge ha anche introdotto, nella disciplina delle sanzioni sostitutive di cui alla legge n. 689/81, all’art. 71, la previsione per cui il mancato pagamento della pena pecuniaria sostitutiva ne comporta la revoca e la conversione nella semilibertà o nella detenzione domiciliare: permane dunque, il profilo, individuato dalla giurisprudenza di legittimità a fondamento dell’orientamento su indicato, per cui il sacrificio del secondo grado di giudizio non sarebbe costituzionalmente legittimo, a fronte della astratta possibilità, in caso di mancato pagamento, di conversione in una sanzione che incide sulla libertà personale. 9. Questi argomenti vanno condivisi e preferiti rispetto alla tesi contraria, anche in ragione del fatto che proprio la inequivoca portata sistemica della riforma contenuta nel d.lgs. n. 150/2020, con la scelta consapevole che ha portato il legislatore a scegliere in maniera selettiva e precisa gli ambiti del settore normativo su cui operare, inducono a ritenere non praticabile l’interpretazione estensiva che è stata proposta.

A tale interpretazione, infatti, osta il rilievo che non si spiegherebbe come mai il legislatore della riforma abbia modificato il comma 3 dell’art. 593 cod. proc. pen, mediante la previsione espressa della inappellabilità delle sentenze di applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ed abbia lasciato invariato il testo precedente. Ciò, ovviamente, all’interno del sistema delle impugnazioni che è retto dal principio di tassatività delle impugnazioni medesime.

Nel caso di specie, il Tribunale ha condannato il ricorrente in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 186 C.d.S., punita con pena congiunta, alla pena di mesi 9 di arresto ed € 3000,00 di ammenda e ha poi sostituito la pena detentiva in pena pecuniaria, sicché la sentenza, era appellabile.

Ciò chiarito, il ricorso deve essere convertito in appello.

Ai sensi dell’art. 569 cod. proc. peri, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto solo nel caso in cui si deducano i motivi di cui all’art. 606 comma 1 lett. a) ovvero l’esercizio da parte del giudice di potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi, lett. b) ovvero inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, lett. c) ovvero inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o di decadenza.

Nel caso in cui con il ricorso per saltum siano dedotti i motivi di cui alla lett. d) relativo alla mancata assunzione di una prova decisiva ed alla lett. e) relativo alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, il ricorso, secondo quanto espressamente previso dall’art. 569, comma 3, cod. proc. pen, si converte in appello (Sez. 4 n. 1189 del 10/10/2018, dep 2019).

Il ricorrente ha espressamente dedotto nella prospettazione ed illustrazione dei motivi, il vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla valutazione della richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena applicata.

Ne consegue che il ricorso proposto dall’imputato deve essere convertito in appello con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di appello per il giudizio.