Babele a Palazzo di Giustizia (Vincenzo Giglio)

Così tramanda Genesi, 11, 1-9:

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.

Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.

Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento.

Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra».

Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo.

Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.
Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro».

Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città.

Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra”.

Tra le molte interpretazioni di questo passo biblico, scelgo quella più piana.

Gli uomini compiono un gesto di superbia, costruendo una torre che li eleva fino al cielo, e il Signore li punisce.

Non col diluvio universale usato per la distruzione di ogni creatura vivente né con lo zolfo e il fuoco usati per distruggere Sodoma e Gomorra, né con le piaghe inflitte all’Egitto.

Questa volta punisce i superbi rendendoli incapaci di comprendersi gli uni gli altri e condannandoli quindi alla perdita dell’unità ed alla diaspora.

Gli uomini non perdono la vita ma, a partire dalla lingua, perdono tutto il resto: la patria, la comunità, la storia, se stessi.

La confusione della lingua come strumento della perdita di tutto.

Valeva millenni fa, vale anche oggi.

Ogni volta che ne smarriamo il significato condiviso, perdiamo un pezzo di noi stessi.

Così avviene anche nel diritto.

Qui si sono perse molte battaglie e se non si inverte la rotta si perderà anche la guerra.

Leggiamo insieme:

È errato l’approccio metodologico alla valutazione indiziaria, il quale si limiti alla esaltazione del margine di ambiguità (o di reversibilità) insito nella lettura del dato fattuale, per giungere alla esclusione di ogni valore probatorio di ciascuno degli indizi atomisticamente considerati, senza apprezzare il peso che gli elementi del compendio assumono nella valutazione sinergica, la quale si nutre delle connessioni osmotiche che possono stabilirsi tra gli stessi medesimi indizi.

È pertanto censurabile l’approccio metodologico connotato da un generalizzato animus disconoscendi, basato su una supposta mancanza di precisione degli elementi del compendio indiziario stesso. Invero non occorre che i fatti, sui quali si fonda l’indizio, siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti acclarati, alla stregua di una consecuzione casuale esclusiva ed assoluta. È sufficiente, invece, che l’interferenza avvenga secondo un “canone di probabilità” con riferimento alla connessione verosimile degli accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza (l’id quod plerumque accidit)“.

Sono parole tratte da una sentenza che non serve identificare perché è uguale a tante altre, nefanda come tante altre.

Se le parole sono ponti, qui il ponte è crollato.

Se si è ciò che si comunica, chi le ha scritte non dovrebbe essere contento di se stesso.

Se le parole danno forma al pensiero, chi le ha tracciate aveva grovigli piuttosto che idee.

La dannazione di Babele è arrivata nei palazzi di giustizia, proviamo a combatterla.

2 commenti

  1. Prosa oscurantista, in contrasto con la logica del clare loqui, principio indefettibile in materia di certezza del diritto.

    Una motivazione quasi indecrittabile contrasta con la necessità costituzionale della motivazione di ogni provvedi-

    mento giurisdizionale, motivazione che costituisce la giustificazione dell’esercizio del potere giurisdizionale.

    Un caro saluto.

    Avv. Antonio de Grazia

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