La fase delle indagini preliminari è particolarmente complessa e interessante sicché è necessario bilanciare, con attenzione, l’esigenza di garantire un’efficace finalità investigativa con i diritti della persona indagata.
Non di rado la Corte di cassazione è investita dell’arduo compito di valutare se il PM stia osservando le regole che delineano, per l’appunto, le sue prerogative da “investigatore”.
Viene in rilievo a tale proposito Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 40533/2024, udienza del 24 ottobre 2024, allegata in forma anonimizzata alla fine del post.
Nel caso affrontato dalla sentenza che si esamina, era il proprio il PM a proporre ricorso avverso la decisione del GIP che, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dagli indagati, aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di restituzione di beni sequestrati a seguito del decreto del p.m. “limitatamente agli smartphone, ai telefoni cellulari e alle relative schede sim“.
Il PM lamentava che, contrariamente a quanto ritenuto dal GIP, il decreto di perquisizione e sequestro avesse delineato in modo sufficientemente preciso le cose pertinenti al reato che la PG era delegata ad acquisire, tra le quali andavano ricompresi gli smartphone “quali dispositivi di archiviazione di dati informatici ed oggetti nei cui confronti era estensibile la perquisizione“.
Il tema centrale era costituito dalla corretta interpretazione del decreto di sequestro probatorio disposto sui beni nella disponibilità degli indagati, in particolare degli smartphone, essendo controverso se fosse da ritenersi eseguito su cose già specificamente individuate nel decreto di perquisizione e sequestro emesso dal pubblico ministero (come ritiene il ricorrente) ovvero se si trattasse di un vincolo reale che, fuoriuscendo dal perimetro delle res sequestrabili per come indicate nel decreto, dovesse essere ritenuto apposto di iniziativa dalla PG e dunque necessitante di convalida successiva da parte dello stesso pubblico ministero (per come ritenuto dal GIP).
Per la Cassazione, il sequestro non era stato compiuto di iniziativa, bensì in esecuzione del decreto emesso dal PM.
Tenuto conto del tenore letterale del provvedimento, la perquisizione era finalizzata all’acquisizione di “dispositivi portatili di archiviazione di dati informatici”, tra cui vanno compresi, per intrinseche caratteristiche, gli smartphone.
Inoltre, il PM aveva disposto la perquisizione degli “smartphone presenti nei luoghi sopra indicati”, con conseguente “sequestro di quanto rinvenuto (corpo del reato, cose pertinenti al reato) e, in particolare, della documentazione analogica e dei computer fissi, dei computer portatili (laptop) e dei supporti di archiviazione dei dati (chiavi USB, Hard disk, ec.), nonché degli ivi presenti, qualora non sia possibile eseguire sul posto le operazioni di perquisizione”.
Orbene, tenuto conto dell’interpretazione letterale e teleologica dell’espressioni contenute nel decreto di perquisizione e sequestro, doveva necessariamente concludersi che le cose da sequestrare fossero ben individuate, in coerenza con le esigenze probatorie attinenti alle pratiche di bonus edilizio oggetto dell’attività investigativa che ipotizzava condotte truffaldine.
In altre parole, il sequestro non era “di iniziativa” e pertanto non esigeva la convalida del PM.
Per la Cassazione è “da una lettura necessariamente unitaria del decreto del P.M., in aderenza alle finalità investigative ivi specificate e al genus degli oggetti sequestrabili indicato, esclude la percorribilità di un’interpretazione che faccia leva sulla lettura selettiva operata dal Gip, dovendosi ritenere la parte del decreto di sequestro nella quale vengono indicati i diversi dispositivi informatici sequestrabili (“e in particolare”) una specificazione del concetto più generale di cose pertinenti al reato”.
Ciò che colpisce di questa sentenza è come la Cassazione ricorra al criterio di interpretazione teleologica delle disposizioni del PM che, per quanto concerne il decreto di perquisizione e sequestro, è rappresentato dalle finalità investigative perseguite.
Interpretazione letterale (“cosa ha scritto il p.m.”) e teleologica del decreto emesso (“cosa perseguiva il p.m.”) consentiva alla Cassazione di disattendere le censure avverso il provvedimento impugnato.
Un’altra importante sentenza che, nella sua essenzialità, fornisce degli spunti di riflessione di indubbio interesse.
