Si apprende dalla stampa l’ennesimo episodio di intolleranza verso avvocati ai quali si imputa la “colpa” di esercitare il loro ministero difensivo a favore di persone accusate di reati, in questo caso una violenza sessuale in danno di una minorenne, ad elevato stigma sociale.
Si rinvia al reportage del quotidiano web Il Dubbio per la descrizione dei fatti (a questo link) ed al comunicato dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, emesso in adesione ad un comunicato dell’Unione distrettuale degli Ordini forensi della Toscana, per la reazione dell’Avvocatura associata (a questo link).
Cecilia Turco, Andrea Mitresi, Michele Passione e Gabriele Bordoni entrano così a far parte del sempre più lungo elenco degli avvocati aggrediti e vituperati per il sol fatto di contribuire, dal banco della difesa, ad assicurare un giusto processo ai loro assistiti.
È grave ed allarmante che questo accada.
È la spia di sentimenti come dolore, rabbia e desiderio di vendetta che prendono sempre più spesso e con sempre maggiore forza il posto del pensiero.
È la negazione dell’idea che la giustizia è solo quella che segue ad un giudizio pubblico affidato a mani pubbliche.
È l’emersione di plurime aberrazioni concettuali: che sia colpevole chi è indicato come tale dall’accusa con l’avallo delle parti offese, delle loro cerchie e dell’opinione pubblica; che il giudizio abbia il solo scopo di prendere atto della verità affermata prima, fuori e a prescindere da esso; che chiunque si frapponga tra la verità così declinata e la sua conclamazione – tra costoro in primo luogo i difensori del “colpevole” – meriti disprezzo e riprovazione in quanto corresponsabile del male e nemico del bene.
Se tutto questo è grave e allarmante, lo è altrettanto l’assente o insufficiente attenzione delle istituzioni pubbliche allorché episodi del genere accadono dentro e fuori delle aule giudiziarie.
Alle petizioni di principio sull’inviolabilità della difesa si accompagnano raramente gesti concreti a suo sostegno: si notano, al contrario, segnali di insofferenza istituzionale verso la funzione difensiva, indirizzi interpretativi volti a ridurne i margini di operatività e di effettività, una disaffezione complessiva verso chi pretende l’attuazione del giusto processo a vantaggio di chi vi occupa la posizione più scomoda e vulnerabile.
C’è di che preoccuparsi, dunque, e bisognerebbe intervenire, quantomeno per allentare questo clima così pesante.
Si potrebbe cominciare facendo sentire meno soli i difensori, dimostrandogli con parole e fatti che senza di essi qualsiasi sistema giudiziario è ingiusto per definizione ma, a quanto pare, anche le più semplici forme di solidarietà e riconoscimento risultano difficili a chi dovrebbe esprimerle.
Un blog come Terzultima Fermata può ben poco ma, per quel che vale, noi siamo accanto ai tanti difensori che pagano un prezzo pesante perché credono ancora nella Costituzione italiana.
