“DDL Sicurezza, un passo verso la gestione coercitiva del potere”: la relazione del Prof. Mario Patrono all’incontro sul DDL Sicurezza (redazione)

La mattina del 6 novembre 2024, in concomitanza con l’astensione dalle udienze proclamata dall’UCPI, si è tenuto nei locali di Piazzale Clodio del Tribunale di Roma un incontro-dibattito organizzato dall’Associazione “Giustizia sospesa, intitolato “DDL Sicurezza, fra simbolismo repressivo e diritto penale d’autore”.

Tra gli illustri relatori vi è stato il Prof. Mario Patrono, professore emerito di diritto pubblico dell’Università Sapienza di Roma, che ha trattato il tema “Il DDL “Sicurezza”, un passo verso la gestione coercitiva del Potere”.

Con il consenso dell’Autore, che ringraziamo per la sua cortesia, pubblichiamo il testo integrale della sua relazione, evidenziato in corsivo.

      Il DDL ‘Sicurezza’, a pesarlo in termini di costo monetario, ha la leggerezza di una piuma, progettato com’è in una situazione di scarsa disponibilità di risorse pubbliche da destinare alla giustizia penale. La clausola finale lo dichiara senza mezzi termini: << . . . dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica>>. Per il resto, a parte poche deroghe a tale principio relative ad aspetti organizzativi, deroghe sostenibili peraltro a costi irrisori, è tutto e solo un precipitare di nuovi reati e nuove o maggiori sanzioni penali a costo zero; o meglio, poste a carico di una macchina giudiziaria già oberata da lungaggini esasperanti e da costi al limite della sostenibilità.

      A fronte della leggerezza calcolata in termini di costo monetario, la pesantezza repressiva e dissuasiva del DDL ‘Sicurezza’ fa impallidire, al confronto, lo stesso codice Rocco di diretta provenienza fascista, tuttora non epurato ma solo depurato da alcune delle sue principali asperità.

      A guardarci dentro e fino in fondo, il DDL ‘Sicurezza’ fa letteralmente paura, come prende paura chi si avvede di stare sull’orlo di un crepaccio, e guarda in giù; e giù vede una giustizia penale di polizia.

       Qui, prima di andare al merito, vorrei mettere il DDL ‘Sicurezza’ dentro un quadro di riferimento più ampio, tanto per capire esattamente di che cosa stiamo parlando.

      Si parla, in questi giorni, di scontro tra Politica e magistratura; si ricorda anche che lo scontro di oggi non è una novità; ma si aggiunge che oggi il livello dello scontro è ai massimi storici. Su questo, personalmente, avrei qualcosa da ridire. Qui però saremmo a discutere della diversa intensità dello scontro. La questione vera riguarda invece la natura dello scontro.

      Oggi, per la prima volta in assoluto dal 1948, abbiamo un governo che mostra qualche difficoltà ad accettare due capisaldi di un sistema democratico: l’idea del Diritto come limite del Potere; e l’idea del bilanciamento tra forze politiche contrapposte e tra istituzioni dotate ciascuna da una distinta sfera potestativa.

      Così, si sostiene che la Politica, avendo dalla sua parte il sostegno del voto popolare, non debba avere davanti a sé l’intralcio di Carte e di Tribunali internazionali, che non si vuole che mettano il becco nelle faccende di casa nostra, incontrollabili come sono; e poi l’intralcio di giudici nazionali indipendenti, i quali in questi giorni, forse per sottrarsi al truculento pestaggio verbale da parte di esponenti del governo hanno osato – ohibò! – di esercitare la loro facoltà di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE; e poi l’intralcio di troppi diritti individuali e collettivi, che rischiano di frenare ad ogni passo l’azione di governo.

      E siamo adesso appunto al merito del DDL ‘Sicurezza’. Non ho a disposizione il tempo necessario per individuare, all’interno di questa normativa, e tanto meno per illustrare, puntuali criticità sotto il profilo della legittimità costituzionale.

      E quindi nulla dico del contrasto con l’articolo 27 della Costituzione: <<le pene . . . devono tendere alla rieducazione del condannato>>, della eventualità, prevista in certi casi dal DDL ‘Sicurezza’ (art. 15, punto 2.3), che un minore al seguito di madre detenuta debba soggiornare anche a lungo in ambiente carcerario, con grave pregiudizio per l crescita morale del minore stesso.

      E nulla dico in merito alle numerose disposizioni, ivi contenute, che stabiliscono la prevalenza juris et de jure delle circostanze aggravanti concorrenti con le attenuanti, malgrado le svariate pronunce della Corte costituzionale in materia, adottate tra il 2012 e il 2023, che stabiliscono un divieto in tal senso.

      E infine nulla dico a proposito del carattere irragionevolmente eccessivo di talune pene, come quella di 2 anni e più di carcere per chi, insieme ad altri, impedisca, quale forma di protesta non violenta, la libera circolazione su strada o su binari, o posta in essere allo scopo di ritardare o al limite di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura strategica. Qui bisogna essere chiari. Una società democratica degna di tal nome deve saper compere un equo bilanciamento tra il prevalente interesse collettivo o nazionale e il diritto alla protesta in nome di valori condivisibili (pacifismo, preoccupazioni per l’ambiente, e così via) o anche – salvo casi estremi – di valori non condivisibili; il quale diritto alla protesta non potrà in nessun caso, in una democrazia, essere soffocato e criminalizzato.

      Ma sempre su questa strada – la strada, cioè, che va verso l’erosione dei diritti democratici-, il DDL ‘Sicurezza’ è andato anche oltre, dettando tutta una normativa penale speciale in materia di manifestazioni (essenzialmente politiche) in luogo pubblico, la quale rischia pertanto di diventare tra poco materia criminale.

      La presenza nel campo della libertà di riunione di un incombente apparato intimidatorio, tutto inzeppato di nuovi reati, di pene aggiunte o maggiorate, talora palesemente sproporzionate, di aggravanti che schiacciano le attenuanti, di variabilità della pena in relazione al ‘dove’ – diritto penale di luogo – ; tutto questo incombente apparato intimidatorio, dicevo, va fatalmente a cozzare contro un qualcosa – la libertà di riunione, appunto – che si pone a fondamento di qualunque società democratica, che ne costituisce uno dei cardini indefettibili, trattandosi del risvolto collettivo della libertà di manifestazione del pensiero. E non è un caso che la Corte Edu abbia affermato in più occasioni che il modo in cui la legislazione nazionale garantisce la libertà di riunione e quello in cui le autorità nazionali applicano tale legislazione sono rivelatori della condizione della democrazia nel Paese; e abbia inoltre affermato, la Corte Edu, che misure dissuasive mirate alla libertà di riunione rendono alla democrazia un cattivo servizio, e anzi la mettono spesso in pericolo.

      In conclusione, il mio giudizio è chiaro: il DDL ‘Sicurezza’ si risolve nel suo nucleo essenziale in un articolato sistema di placcaggio del dissenso, e quindi come tale va contro lo spirito e la lettera della Costituzione.

      Se io avessi un’autorevolezza che non ho, inciterei magistrati ed avvocati all’unità d’azione per una causa giusta: per il mantenimento delle libertà fondamentali e dei principi democratici, che non contemplano l’idea che l’esercizio della giurisdizione debba stare al giogo degli indirizzi di governo, di un qualsiasi governo; e per respingere l’avanzata, attraverso la breccia della giustizia penale, di un modo coercitivo di gestione del Potere.