Divieto di avvicinamento nei reati del “codice rosso”: per la Consulta l’impossibilità tecnica del controllo da remoto non può implicare un automatismo cautelare a svantaggio dell’indagato (Vincenzo Giglio)

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 173/2024 (presidente Barbera, redattore Petitti), camera di consiglio e decisione del 15 ottobre 2024, pubblicazione del 4 novembre 2024, ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP del Tribunale di Modena, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., nei riguardi dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 168 del 2023 (“nuovo codice rosso”).

Sia la sentenza che il relativo comunicato stampa sono allegati alla fine del post.

Nell’opinione del giudice a quo, la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa era stata resa troppo rigida e troppo poco individualizzabile attraverso la previsione della distanza minima di 500 metri, dell’applicazione obbligatoria del braccialetto elettronico e dell’imposizione di ulteriori, anche più gravi, misure cautelari nell’eventualità della non fattibilità tecnica del controllo da remoto.

La Consulta ha osservato a tal fine che il braccialetto elettronico è un importante dispositivo funzionale alla tutela delle persone vulnerabili rispetto ai reati di genere, e che la distanza minima di 500 metri corrisponde alla finalità pratica del tracciamento di prossimità, quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla persona minacciata per trovare sicuro riparo e alle forze dell’ordine per intervenire in soccorso.

Tali previsioni comportano un sacrificio sopportabile e, laddove, ricorrano specifici motivi di lavoro o esigenze abitative dell’indagato, possono essere rese flessibili applicando l’art. 282-ter, cod. proc. pen.

Quanto poi all’impossibilità tecnica del controllo da remoto, la Corte ha ritenuto che sia possibile gestirne le conseguenze in modo costituzionalmente adeguato nel senso che il giudice non è tenuto all’imposizione di una misura cautelare più grave, dovendo piuttosto rivalutare le esigenze cautelari del caso concreto e potendo in base ai criteri ordinari di idoneità, necessità e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (quale il divieto o l’obbligo di dimora), ma anche una misura più lieve (quale l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria).