La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 39675/2024 ha ricordato che nella valutazione della rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto stupefacenti, occorre sempre verificare, nel rispetto del principio di offensività, che in concreto la sostanza oggetto di cessione abbia una reale efficacia drogante, vale a dire una effettiva attitudine a produrre effetti psicotropi.
Fatto
L’imputato deduce che, in considerazione della quantità di stupefacente e del basso livello di principio attivo dello stesso, la condotta sia priva di offensività.
Per quanto concerne il principio attivo, il capo di imputazione lo indica nella percentuale dello 0,4% (corrispondente al 4 per mille).
Ha dunque ragione il ricorrente a evidenziare che la sentenza impugnata erra nel riferirlo al 4%, percentuale dieci volte superiore, da considerare mero errore materiale.
Le 36,4 dosi medie indicate nell’imputazione corrispondono – considerato il quantitativo complessivo – a una dose singola di 5,7 grammi di sostanza stupefacente.
Alla luce di tali dati di fatto, l’imputato contesta che la percentuale di principio attivo così bassa sia idonea a integrare la fattispecie contestata all’imputato.
Decisione
La Suprema Corte premette che il ricorrente richiama un orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di “cannabis light” secondo il quale «in tema di sostanze stupefacenti, la detenzione o cessione di inflorescenze provenienti da coltivazioni di cannabis consentite ai sensi della legge 2 dicembre 2016, n.242, integra il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, a condizione che risulti non solo il superamento della soglia di 0,6% di THC, ma anche la concreta idoneità del principio attivo a produrre un effetto drogante» (Sez. 6, n. 4920 del 29/11/2018 – dep. 31/01/2019, Rv. 274616 – 04).
Peraltro, successivamente all’intervento delle Sezioni Unite in materia di cannabis light (sent. n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956) la cassazione sezione 6 ha affermato che «in tema di stupefacenti, il reato previsto dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile anche in relazione alla cessione di dosi inferiori a quella media singola di cui al d.m. 11 aprile 2006, con esclusione delle sole condotte afferenti a quantitativi di droga talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore» (Sez. 6, n. 51600 del 11/12/2019, Rv. 277574 – 01,
In tale pronuncia si è così motivato: “con una recente sentenza adottata in materia le Sezioni Unite hanno stabilito che, in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività” (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956).
Alla luce di tale principio di diritto – che, pur riguardando la peculiare fattispecie nella quale si era posto il problema di qualificare le condotte come lecite in base alla suddetta legge n. 242 del 2016, che autorizza la coltivazione di particolari tipi di canapa per le finalità indicate dalla stessa legge – è possibile rilevare come sia stato ribadito così un criterio interpretativo di carattere più generale, già enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, nella valutazione della rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto stupefacenti, occorre sempre verificare, nel rispetto del principio di offensività, che in concreto la sostanza oggetto di cessione abbia una reale efficacia drogante, vale a dire una effettiva attitudine a produrre effetti psicotropi.
In tale ottica, pure richiamato quanto già sottolineato dalle Sezioni Unite, per le quali ai fini della configurabilità del reato di cui al citato art. 73 non rileva il superamento della dose media giornaliera ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente (Sez. U, n. 47472 del 29/11/2007, Di Rocco, Rv. 237856; e, in senso conforme, con riferimento alla coltivazione domestica, Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920), si è sostenuto che, nell’ambito delle condotte di cessione di sostanze stupefacenti, rilevanti ai sensi dell’art. 73, d.P.R. cit., ciò che occorre verificare non è solo la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensì l’idoneità della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante (in questo senso Sez. 4, n. 4324 del 27/10/2015, dep. 2016, Rv. 265976).
Con la conseguenza che il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola di cui al D.M. 11 aprile 2006, con esclusione però di quelle condotte afferenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore (Sez. 3, n. 47670 del 09/10/2014, Rv. 261160).
Alla luce di tale orientamento di legittimità, deve concludersi che la condotta del ricorrente — avente ad oggetto quantitativo di stupefacente dal quale erano ricavabili più di 36 dosi e in relazione al quale non vi sono elementi dai quali dedurre l’assenza di qualsivoglia “effetto drogante” — assume rilievo penale.
