Affidamento in prova al servizio sociale: non può essere negato solo sulla base della gravità del reato e della mancata confessione (Riccardo Radi)

La ragionevole prognosi di completo reinserimento e il peso della gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza: questi i temi trattati da Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 40152/2024 in tema di affidamento in prova al servizio sociale.

I giudici di legittimità hanno ricordato che ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto dell’affidamento al servizio sociale, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato.

La Suprema Corte premette che la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale è la forma di esecuzione della pena esterna al carcere che l’ordinamento prevede per i condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, è possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura stessa.

Ai fini di tale giudizio il Tribunale di sorveglianza è tenuto a fare riferimento alle fonti di conoscenza che la dottrina e la giurisprudenza indicano nel reato commesso, che è comunque il punto di partenza della valutazione, nei precedenti penali, nelle pendenze processuali, nelle informazioni di polizia ma anche, nella condotta carceraria e nei risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, elementi questi particolarmente significativi a livello prognostico in quanto in queste specifiche risultanze istruttorie si compendia una delle fondamentali finalità della espiazione della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non può in questa sede rimanere nell’ombra (Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, Rv. 285855 – 01)

Pur non potendosi prescindere dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, d’altro canto, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, ciò in quanto è indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (cfr. Sez. 1, n. 4390 del 20/12/2019, Rv. 278174; Sez. 1, n. 31420 del 5/05/2015, Rv. 264602). 

Una delle condizioni fondamentali per la concessione dell’affidamento in prova, infatti, è che sia stato positivamente iniziato il processo di revisione critica dei disvalori che hanno determinato la condotta deviante (cfr. Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Rv. 189375) per cui, anche se non è necessaria la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, dai risultati dell’osservazione della personalità deve emergere che il processo critico sia stato almeno avviato (cfr. Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024; Sez. 1, n. 373 del 27/10/2023, dep. 2024, Sez. 1, n. 773 del 3/12/2013, Rv. 258402; Sez. 1, n. 6153 del 19/11/1995, Rv. 203154).

Questa valutazione non può prescindere dalla ricognizione degli elementi di giudizio che si ricavano, anzitutto, dalle relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato che il giudice, pure non essendo vincolato alle considerazioni ivi espresse, deve comunque apprezzare, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative sottostanti la misura e ai profili di pericolosità residua dell’interessato (Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Rv. 270016).

Sotto tale profilo, pertanto, se nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale devono essere valutati i procedimenti penali passati ed eventualmente pendenti a carico dell’interessato deve comunque rilevarsi che non esiste una sorta di presunzione generale di inaffidabilità o di affidabilità di ciascuno al servizio sociale, ma, al contrario il giudice deve procedere di volta in volta a una valutazione concreta circa l’esistenza degli elementi positivi in base ai quali si possa ragionevolmente ritenere che l’affidamento si riveli proficuo.

Nella verifica, quindi, come detto, si deve tenere conto di tutti i fattori emersi quali i precedenti penali, le informazioni fornite dagli organi di polizia e dai servizi sociali, l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte devianti del passato, l’adesione alle ragioni più profonde di valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante.

Il giudice della sorveglianza, infatti, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto successivi ai fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e le condizioni che rendono possibile il reinserimento sociale attraverso la misura alternativa richiesta, in quanto l’analisi della condotta successivamente serbata dal condannato e dei suoi comportamenti attuali è essenziale per valutare l’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e l’assenza di pericolo di recidiva (sempre Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, Rv. 285855 – 01).

In una corretta prospettiva interpretativa, inoltre, si deve ricordare che la mancata ammissione da parte del condannato della propria colpevolezza non può indurre a una prognosi sfavorevole in ordine alla commissione di altri reati, sia perché nel processo penale l’imputato non ha obbligo di verità, sia perché l’assenza di confessione può essere dettata dai più svariati motivi senza che, solo per questo, essa sia sintomatica di mancato ravvedimento o di pericolosità sociale o dell’intenzione di persistere nel crimine (Sez. 1, n. 18388 del 20/02/2008, Rv. 240306 – 01).

Come di recente evidenziato, si deve in conclusione ribadire che «ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato», (Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, Rv. 285855 – 01; Sez. 1, n.773 del 3 dicembre 2013, Rv. 258402).