Impiego dell’IMEI catcher nelle intercettazioni: è un’operazione tecnica che non richiede un’autorizzazione ulteriore rispetto a quella già data per le intercettazioni (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 31938/2024, udienza del 18 giugno 2024, ha affermato che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’impiego del c.d. IMEI “catcher”, costituendo operazione tecnica strumentale alla individuazione delle utenze bersaglio, non necessita di provvedimento autorizzativo apposito e diverso rispetto al decreto di autorizzazione delle operazioni di intercettazione.

Ricorso per cassazione

La difesa di VDM ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale che ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere disposta nei suoi confronti.

Deduce tra l’altro vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al punto della decisione relativo all’utilizzo del cd. IMEI catcher e all’attribuzione delle utenze agli indagati.

Rileva, in primo luogo, la mancanza agli atti dello specifico accertamento relativo alla individuazione, tramite l’impiego del catcher, di una delle utenze monitorate come in uso al ricorrente.

In relazione a tale profilo eccepisce la carenza di motivazione del decreto autorizzativo delle intercettazioni sull’utenza in questione.

Con un motivo aggiunto rimarca l’assenza in atti di una documentazione relativa all’attività investigativa svolta, osserva il ricorrente che poiché detta attività ha consentito di captare il segnale telefonico dell’indagato e di estrarre il codice IMEI, era necessario un atto motivato dell’autorità giudiziaria che autorizzasse l’uso dell’IMEI catcher, trattandosi di una intrusione nella sfera della riservatezza (art. 15 Cost.).

Richiama, a tal fine, la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 81 del 1993 e n. 281 del 1998) e, soprattutto, la sentenza della Corte EDU 24 aprile 2018, Benedik c. Slovenia (allegata alla fine del post nella versione in lingua inglese) che ha ritenuto che anche l’acquisizione dell’indirizzo IP (assimilabile al codice IMEI secondo il ricorrente), trattandosi di “dati personali”, ricade nella sfera di applicazione dell’art. 8 CEDU e conclude che, essendo necessaria ai fini della legittima intrusione nella sfera di riservatezza dell’utente, l’emissione di un ordine giudiziale, la richiesta da parte della Polizia al provider avesse costituito una violazione di tale diritto convenzionale.

Muovendo, dunque, dall’assimilabilità dell’indirizzo IP al codice IMEI (ciò anche sulla base di quanto previsto al § 30 del Rapporto Esplicativo della Convenzione sul Cybercrime), rileva che nella fattispecie in esame l’acquisizione del codice IMEI è illegittima, secondo i parametri di giudizio individuati dalla Corte EDU, non solo perché disposta dalla polizia giudiziaria senza un’autorizzazione del giudice, ma anche per carenza di una base legale che preveda tale intrusione.

 Segnala, infine, che il diverso indirizzo assunto dalla Suprema Corte con la sentenza n. 41385 del 2018 deve considerarsi superato dalla successiva pronuncia della Corte EDU.

Conclude chiedendo che venga dichiarata non solo l’inutilizzabilità dell’acquisizione del codice IMEI, ma anche delle successive intercettazioni autorizzate con decreto n. 92/19.

In subordine, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 256 cod. proc. pen. per violazione dell’art. 15 Cost. nella parte in cui non prevede che sia necessario un ordine dell’autorità giudiziaria per l’acquisizione del numero IMEI mediante l’utilizzazione di apparecchiature tecnologiche capaci di catturare ed identificare detto codice.

Decisione della Corte di cassazione

La questione relativa all’impiego del catcher, sebbene interessante, non rileva nella fattispecie in esame ai fini della valutazione dell’utilizzabilità delle intercettazioni.

Ciò per un duplice ordine di ragioni.

Va, infatti, considerato che, come risulta dall’ordinanza impugnata, a seguito dell’autorizzazione delle intercettazioni nei confronti di VDM, sono state inizialmente monitorate le utenze intestate e/o in uso ai suoi familiari e ciò al fine di poter individuare l’utenza effettivamente utilizzata dall’indagato; stante l’esito infruttuoso dell’ascolto delle conversazioni, che, comunque, evidenziavano una ingiustificata disponibilità di risorse finanziarie, veniva svolta una specifica attività investigativa presso l’indirizzo di residenza di VDM, al fine di individuare, mediante l’impiego del catcher, i numeri IMEI di dispositivi mobili nella disponibilità dell’indagato.

Ebbene, fermandosi a questa prima fase delle operazioni, si rileva che la prospettiva da cui muove il ricorrente, basandosi anche sulla giurisprudenza della Corte EDU, non è pertinente al caso in esame in quanto con il citato provvedimento autorizzativo delle intercettazioni delle conversazioni del VDM, del quale, sempre secondo quanto può desumersi dall’ordinanza impugnata, non si conoscevano i numeri di utenza impiegati, si legittimava gli operanti anche al compimento delle operazioni tecniche necessarie alla individuazione di dette utenze. Pertanto, trattandosi di una operazione tecnica strumentale alla individuazione delle utenze bersaglio, non necessitava di autonomo provvedimento autorizzativo, trovando la sua legittimazione nel precedente decreto di autorizzazione delle intercettazioni nei confronti del ricorrente.

D’altronde, la Suprema Corte, pronunciandosi in tema di intercettazioni ambientali, ha già chiarito che la modifica delle modalità esecutive delle captazioni, concernendo un aspetto meramente tecnico, può essere autonomamente disposta dal PM, non occorrendo un apposito provvedimento da parte del GIP (Sez. 6, n. 45486 del 08/03/2018, Rv. 274934).

Sotto altro profilo, va, inoltre, aggiunto che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso l’applicabilità alla categoria della inutilizzabilità della norma specificamente dettata in tema di nullità dall’art. 185 cod. proc. pen. secondo la quale la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo.

Si è, infatti, affermato che il vizio di cui sia affetto l’originario decreto intercettativo non si comunica automaticamente a quelli successivi, correttamente adottati e, pertanto, non è inutilizzabile la prova che non sarebbe stata scoperta senza l’utilizzazione della prova inutilizzabile (Sez. 5, n. 4951 del 05/11/2010 dep. 2011, Rv. 249240; Sez. 6, n. 3027 del 20/10/2015, dep. 2016, Rv. 266496).

Le considerazioni sopra esposte hanno un valore assorbente rispetto all’esame della questione di legittimità costituzionale posta dal ricorrente.