Ammissione al gratuito patrocinio: la dimostrazione dell’assenza di redditi può essere legittimamente offerta con un’autodichiarazione dell’istante (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 38750/2024, udienza del 3 ottobre 2024, ha chiarito che la dimostrazione di non avere alcun reddito non può che essere assolta attraverso la presentazione dell’autodichiarazione, gravando altrimenti sul richiedente una prova negativa, il cui onere dimostrativo renderebbe estremamente difficile il riconoscimento del diritto, implicando la sostanziale disapplicazione della norma.

In fatto

Il Tribunale ha rigettato l’opposizione proposta da FB avverso il diniego espresso dal GIP del medesimo Tribunale, con decreto del 18 aprile 2023, alla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il GIP, esaminata la richiesta di ammissione, così argomentava il diniego: “considerato che la nozione di reddito ai sensi della predetta legge deve considerarsi ricomprendere qualsivoglia provento economico anche non soggetto a dichiarazione fiscale ed anche di provenienza illecita; ritenuto che in relazione alle normali esigenza di vita non appare credibile che l’istante non usufruisca di alcuna somma anche minima per fare fronte ai bisogni quanto meno alimentari; considerato che, per come sancito dalla Suprema Corte, ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, la generica dichiarazione di impossidenza formulata da parte dell’istante non è sufficiente a far ritenere sussistenti i presupposti per conseguirla ( Sez.3, 23/10/2001)“. Perveniva quindi al rigetto della richiesta assumendo il difetto dell’indicazione specifica del reddito complessivo valutabile.

In sede di opposizione, il Tribunale condivideva le argomentazioni del GIP, ritenendo inverosimile che l’istante, componente del proprio nucleo familiare unitamente alle proprie figlie, avesse, come dalla stessa dichiarato, un reddito pari a zero, in considerazione delle comuni e minime esigenze di vita, e che quindi la circostanza fosse indicativa di un tentativo di aggirare i limiti previsti dalla normativa in tema di patrocinio a spese dello Stato.

Ricorso per cassazione

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’opponente, a mezzo del difensore, articolando il seguente motivo di ricorso. In sintesi, ex art. 173, disp. att. c.p.p., comma 1, la ricorrente rileva la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 99, comma 4, 79, comma 3, e 96, comma 2, oltre che la illogicità della motivazione.

Osserva la difesa come nella richiesta siano stati rispettati i requisiti di ammissione al beneficio; pertanto, erroneamente il GIP ha rigettato l’istanza.

La norma che si assume violata prevede che, verificata l’ammissibilità dell’istanza, il giudice ammetta l’interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione prevista dall’art. 79 del citato decreto, ricorrano i presupposti di reddito.

L’ammissione spetta di diritto all’interessato che abbia dato prova con l’autocertificazione di rientrare nei limiti di reddito. Soltanto a seguito di fondati motivi, il giudice, tenuto conto del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, può eventualmente respingere l’istanza. La norma è rigorosa nel tutelare i diritti dei meno abbienti e circoscrive i casi in cui il magistrato può rigettare la richiesta.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini di seguito indicati.

La ratio della decisione impugnata, per la linearità della motivazione, mostra in modo chiaro di poggiare su presupposti non conformi al modello di giudizio fissato dal legislatore. I giudici del merito hanno ritenuto sufficiente, per respingere l’istanza, coltivare un serio dubbio sulla veridicità della dichiarazione sul reddito rilasciata dall’interessata secondo le forme richieste dalla legge, senza procedere ad alcun accertamento e sulla base della stessa autodichiarazione dell’interessata.

È opportuno ricordare che mediante la predisposizione dell’istituto processuale finalizzato al riconoscimento del diritto al patrocinio a spese dello Stato, si mira a garantire l’esercizio di uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione (art. 24, comma 3, Cost.).

La giurisprudenza costituzionale (da ultimo Corte Cost. n. 110 del 2024; G.U. 026 del 26/06/2024) ha più volte affermato che il diritto dei non abbienti al patrocinio a spese dello Stato, la cui funzione è quella di «rimuovere, in armonia con l’art. 3, secondo comma, Cost., “le difficoltà di ordine economico che possono opporsi […] al concreto esercizio del diritto [di difesa]»  (di recente, sentenza n. 228 del 2023), è diritto inviolabile nel suo nucleo intangibile, sebbene il suo esercizio non si sottragga al bilanciamento di interessi, spettante al legislatore, «che, per effetto della scarsità delle risorse, si rende necessario rispetto alla molteplicità dei diritti che ambiscono alla medesima tutela» (sentenza n. 157 del 2021).

La medesima giurisprudenza costituzionale ha posto in evidenza la stretta relazione esistente tra l’istituto in esame e l’art. 24, terzo comma, Cost., che mira a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile.

Si tratta di diritti compresi tra quelli “civili, inviolabili e caratterizzanti lo Stato di diritto“, che richiamano il compito assegnato alla Repubblica dall’art. 3, secondo comma, Cost. affinché siano predisposti i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste possibilità di successo nelle liti, offrendo rimedio agli ostacoli di ordine economico che impediscono di fatto di compensare il difensore – che non può trovare soluzione nell’ambito dell’eguaglianza solo formale (Corte Cost. 157/2021 – 178/2017; 101/2012).

In questo quadro costituzionale si collocano le disposizioni sul procedimento contenute nel d.P.R. n. 115 del 2002, artt. 76 e ss., e segnatamente, per quanto interessa il processo penale artt. 93 e ss., le disposizioni che demandano al giudice investito dell’istanza l’attività di accertamento dei presupposti reddituali che condizionano il mantenimento del beneficio.

 In particolare, il magistrato può certamente respingere l’istanza, se ha fondati motivi per ritenere che l’interessato non versi nelle condizioni previste dalla legge, ma il suo giudizio deve svolgersi mediante l’esame delle condizioni rilevanti che lo stesso legislatore ha fissato.

La valutazione deve essere ancorata ai parametri indicati in modo specifico nell’art. 96 d.P.R. n. 115 del 2002 e specificamente le risultanze del casellario giudiziale, il tenore di vita, le condizioni personali e familiari e le attività economiche eventualmente svolte.

Il giudice, a tal fine, esercita la facoltà preliminare di effettuare accertamenti tramite la Guardia di Finanza per le necessarie verifiche.

Conformandosi alle espresse indicazioni normative, la giurisprudenza di legittimità ha messo in evidenza la centralità dell’attività giudiziaria di controllo della spettanza del diritto al patrocinio, elaborando concrete regole di giudizio.

Così (Sez. 4, 09/06/2023, (ud. 09/06/2023, n.38008) ha affermato che la semplice affermazione dell’assenza totale di reddito è circostanza affatto inverosimile, trattandosi invece di una situazione, seppure non comune, certamente possibile.

I presupposti per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, sono stati definiti dal legislatore mediante il D.P.R. n. 115 del 2002, che all’ art. 76 comma 1, indica non solo i parametri reddituali, ma anche la fonte (ultima dichiarazione dei redditi) dalla quale trarre l’importo del reddito da indicare al momento della presentazione della domanda.

Nondimeno, avuto riguardo al fatto che al di sotto di determinati limiti non sussiste obbligo alcuno di dichiarare i redditi deve ritenersi assolto l’obbligo dichiarativo di cui alla lett. c) dell’art. 79 T.U. Spese di giustizia con la semplice autodichiarazione del richiedente.

Si è pure precisato che la dimostrazione di non avere alcun reddito non può essere assolta che attraverso la presentazione dell’autodichiarazione, gravando altrimenti sul richiedente una prova negativa, il cui onere dimostrativo renderebbe estremamente difficile il riconoscimento del diritto, implicando la sostanziale disapplicazione della norma. Proprio per evitare una simile situazione il legislatore, lungi dall’introdurre norme che sacrifichino il diritto del non abbiente all’effettiva tutela difensiva nel processo, per la sua impossibilità di dimostrare la concreta assenza di reddito, appronta degli strumenti che, a fronte dell’autodichiarazione dell’istante formulata in termini assolutamente negativi, consentono un approfondimento della situazione, laddove ritenuto necessario. Ed infatti, la disciplina del procedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato prevede da un lato, all’art. 79, comma 3, il potere del giudice, innanzi al quale è presentata l’istanza, di chiedere alla parte di integrare, ove lo ritenga, ulteriore documentazione – dichiarando l’inammissibilità solo in caso di mancata collaborazione – dall’altro, all’art. 96 comma 2, stabilisce il potere del magistrato, in sede di decisione di respingere “l’istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli artt. 76 e 92, tenuto conto del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte.” A questo fine, prevede altresì la norma, prima di provvedere, il magistrato può trasmettere l’istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche.

Il potere dell’ufficio di sollecitazione alla parte (art. 79) e di accertamento (art. 96, comma 2) si estende anche al giudizio di opposizione avverso il rigetto, il cui scopo è appunto la verifica delle condizioni dell’ammissione al beneficio, stante l’effetto integralmente devolutivo del medesimo e l’inutilità di un processo che, decidendo allo stato degli atti, frustri lo scopo dell’istituto (Sez. 4 n. 22854 del 28/03/2024; Rv. 286412 – 01).

Nel senso indicato si è espressa più volte la Suprema Corte: Sez. 4, n. 10406 del 05/12/2017, Rv. 272248; Sez. 4, n. 10512 del 13/01/2021, Rv. 280939; Sez. 4, n. 4628 del 20/9/2017, dep. 2018, Rv. 271942).

Sulla base di quanto precede il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo giudizio al Presidente del Tribunale.