La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 39107/2024 ha ricordato che in tema di associazione di tipo mafioso, la mera “contiguità compiacente“, così come la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti a integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 5, n. 12753 del 17/01/2024, Rv. 286120 – 01; Sez. 6, n. 40746 del 24/6/2016, Rv. 268325 – 01; Sez. 1, n. 25799 del 8/1/2015, Rv. 263935 – 01).
Tale affermazione corrisponde pienamente, infatti, alle indicazioni nomofilattiche impresse dalle Sezioni unite nella storica sentenza n. 33748 del 12/7/2005 (Mannino, Rv. 231670 – 01) e nella successiva pronuncia n. 36958 del 27 maggio 2021 (Modaffari, Rv. 281889 – 01), che hanno declinato la dimensione della condotta partecipativa mafiosa in chiave dinamico-funzionale e non come statica forma di appartenenza, di talché la rilevanza penale di una determinata condotta si evidenzia solo quando l’autore “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Rimangono fuori, quindi, dall’alveo della norma incriminatrice atteggiamenti di mera fascinazione verso un determinato apparato mafioso o di ammirazione nei confronti di suoi partecipi e capi, sia pur quando essi si siano concretizzati in rapporti intrattenuti con uno o più esponenti mafiosi e, tuttavia, tali rapporti non si risolvano in una vera e propria estrinsecazione della messa a disposizione per il sodalizio.
