Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 26415/2024, udienza del 2 aprile 2024, ha definito i ricorsi avverso una sentenza della Corte territoriale che, riformando parzialmente la decisione del primo giudice, ha dichiarato l’estinzione del reato di infedeltà patrimoniale previsto dall’art. 2634 cod. civ. per intervenuta prescrizione e confermato le statuizioni civili — consistenti nella condanna generica al risarcimento del danno in favore delle parti civili — e la confisca dell’immobile in sequestro ex art. 2641 cod. civ.
Il collegio di legittimità ha rigettato tutti i ricorsi, rilevando anzitutto che, in tema di delitto di infedeltà patrimoniale, ex art. 2634 cod. civ. l’atto di disposizione negoziale stipulato dall’amministratore, avente un interesse in conflitto con quello della società, con dolo specifico di profitto ingiusto, cagionante l’evento del danno patrimoniale, è in sé reato-contratto, in quanto, essendo frutto di una determinazione illecita ab origine, non verte in tema di vizio che indica sulla formazione della volontà, in quanto alcuna trattativa viene effettivamente svolta, o sull’esecuzione del contratto: si verifica, invece, l’immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile interamente a confisca diretta ai sensi dell’art. 2641, comma primo, cod. civ.
Ha ricordato ulteriormente che «nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione, è evidente che si determina una immedesimazione del reato col negozio giuridico (c.d. “reato contratto”) e quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca. Se, invece, il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale (c.d. “reato in contratto”), è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perché assolutamente lecito e valido inter partes è il contratto (eventualmente solo annullabile ex artt. 1418 e 1439 c.c.), con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall’agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente» (Sez. U., n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti S.p.a., Rv. 239926 – 01, in motivazione).
Le stesse Sezioni unite – ha ricordato il collegio – hanno chiarito la nozione di profitto, qualificandolo come il “vantaggio di natura economica”, il “beneficio aggiunto di natura patrimoniale”, l'”utile conseguito dall’autore del reato in seguito alla commissione del reato” (cfr. Sez. U, 24/05/2004, Focarelli, n. 29951; Sez. U, 25/10/2005, Muci, n. 41936).
Nel caso in esame il contratto di compravendita (atto di disposizione ex art. 2634 cod. civ.) stipulato dall’amministratore avente un interesse in conflitto con l’interesse della società, con dolo specifico di profitto ingiusto, cagionante l’evento del danno patrimoniale alla società, è in sé “contratto reato”, in quanto non si riscontra alcun vizio nella formazione della volontà, perché alcuna trattativa viene effettivamente svolta, né alcun vizio che incida sull’esecuzione del contratto, in quanto si determina un’immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca (cfr. Sez. 6, n. 9988 del 27/01/2015, Rv. 262794 – 01, in motivazione).
Ne consegue che, se il vantaggio è nella sua interezza collegato all’an della disposizione e non al quomodo della esecuzione dello stesso, il profitto coincide con l’intero vantaggio patrimoniale, senza alcuno scomputo della controprestazione eventualmente effettuata. Diversamente accade, come osserva Sez. U, Fisia, cit., nelle ipotesi di “reato in contratto” ove il profitto deve essere concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente (da ultimo, in questo senso, Sez. 2, n. 40765 del 21/10/2021, Rv. 282194 – 01).
In punto di confiscabilità del profitto del reato, infine, la decisione della Suprema Corte ha ricordato che l’art. 2641 cod. civ. al comma primo prevede la confisca obbligatoria diretta del «prodotto o del profitto e dei beni utilizzati per commetterlo» con riferimento ai reati societari, fra i quali il delitto di infedeltà patrimoniale ex art. 2634 cod. civ. Il comma secondo, invece, prevede la confisca per equivalente «quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione» del prodotto, del profitto e dei beni in precedenza indicati.
La confisca dell’immobile oggetto della compravendita rientra nel caso della confisca diretta, quindi di natura non sanzionatoria ma ripristinatoria, alle quali l’art. 578-bis rinvia, essendo l’art. 2641, primo comma, cod. civ. una delle «altre disposizioni di legge» che prevedono la confisca obbligatoria. Pertanto, a differenza di quanto rappresentano i ricorrenti, il principio evocato di Sez. U. Esposito — per cui la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, Esposito, Rv. 284209 – 01) — non trova applicazione per la confisca oggetto del presente giudizio, di natura diretta e già consentita allorché sia intervenuta una sentenza di condanna alla quale sia seguita l’estinzione per prescrizione del reato.
Nel caso in esame, infatti, la confiscabilità del profitto e del prezzo era già consentita anche per il caso di declaratoria di estinzione del reato, alla condizione che la misura di sicurezza fosse stata disposta con la sentenza di primo grado già prima dell’introduzione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. in ragione del ‘diritto vivente’ accertato da Sez. U., Lucci, ribadito poi anche dalle esaminate successive sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte.
Pertanto, il limite all’effetto retroattivo, sancito da Sez. U. Esposito e richiamato dai ricorrenti, non trova applicazione nel caso in esame in quanto riguarda esclusivamente i casi di confisca sanzionatoria e non anche ripristinatoria come è quella diretta che afferisca al prodotto o al profitto.
