Eludere futuri pignoramenti non configura l’art. 388 c.p. (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 37634/2024 ha annullato senza rinvio una doppia conforme che vedeva attribuita e contestata agli imputati una condotta volta a sottrarre non già i beni oggetto di pignoramento, ma ad eludere i futuri pignoramenti, ancora da compiersi, rapportati alle diverse e progressive scadenze degli assegni postdatati versati al creditore a garanzia del credito, posti a fondamento degli atti di precetto per dare corso a distinte e plurime procedure esecutive.

La Suprema Corte ha stabilito che tale condotta non è prevista dalla legge come reato.

L’elusione degli obblighi in corso di accertamento di cui al primo comma dell’art. 388 cod.pen. si riferisce esclusivamente e tassativamente alla pendenza di un’azione giudiziaria.

Con il primo comma si puniscono, infatti, i comportamenti destinati a precostituire una situazione di ineseguibilità della decisione giudiziaria definitiva, estendendo esplicitamente la tutela anche agli obblighi “dei quali è in corso l’accertamento dinanzi l’Autorità giudiziaria“, ma pur sempre subordinatamente alla emissione di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria che costituisca il presupposto dell’ingiunzione da eseguire.

Nella fattispecie in esame il titolo esecutivo è costituito non da un provvedimento giudiziario, ma da assegni bancari che venivano azionati con il precetto alla data della loro scadenza.

Sulla base della pacifica ricostruzione dei fatti è emerso, infatti, che dopo i primi tre pignoramenti eseguiti nei mesi di aprile e maggio 2017, il creditore ha notato che i debitori, prima della scadenza degli ulteriori assegni e, dunque, prima che venissero azionati i relativi pignoramenti, stavano asportando dal proprio magazzino dei beni diversi da quelli già pignorati e affidati al custode giudiziario.

Pertanto, rispetto a tale pacifica ricostruzione dei fatti, prescindendo dal carattere fraudolento o meno di tali condotte, manca innanzitutto il provvedimento dell’autorità giudiziaria che costituisce il primo presupposto per la configurabilità dell’ipotesi di reato prevista dal comma 1 dell’art. 388 cod. pen. che punisce la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.

Infatti, la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 388 cod. pen. non punisce qualunque elusione delle pretese creditorie, che trovano tutela nei rimedi approntati dal Codice civile e di procedura civile, ma solo le condotte volte ad eludere le decisioni adottate dall’autorità giudiziaria.

Tanto meno è configurabile il reato di sottrazione di beni pignorati di cui al comma 5 dell’art. 388 cod. pen. (in cui è stato trasfuso il comma 3 dopo la introduzione dei due nuovi commi introdotti dal d.lgs. 11 maggio 2018 n. 63), essendo del tutto carente il presupposto del pignoramento.

La giurisprudenza richiamata nella sentenza di appello (Sez. 6, n. 16495 del 04/02/2020, Rv. 278964) non è pertinente al caso perché si riferisce alla diversa questione della rilevanza agli effetti penali della ingiunzione emessa da parte dell’ufficiale giudiziario ex art. 492 cod. proc. civ. di astenersi dal sottrarre all’espropriazione i beni pignorati, prima che siano perfezionate le ulteriori formalità che l’ordinamento processuale civile prescrive ai fini della validità ed efficacia del pignoramento, mentre nella fattispecie in esame manca del tutto il pignoramento dei beni oggetto delle condotte fraudolenti.

Esclusa la sussistenza di un tale presupposto, risulta evidente, sulla base dello stesso accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata, l’insussistenza del reato contestato.

Pertanto, in applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, in assenza di ulteriori elementi di prova da valutare, desumibile dall’analisi delle due decisioni di merito.