Il disegno di legge n. 824
Il 16 ottobre 2024 il Senato della Repubblica, con 84 voti favorevoli, 58 contrari e nessun astenuto, ha approvato in via definitiva, dopo l’approvazione in prima lettura della Camera dei deputati avvenuta il 26 luglio 2023, il disegno di legge n. 824 (prima firmataria deputata Carolina Varchi di Fratelli d’Italia).
La norma così introdotta modifica l’art. 12, comma 6, Legge n. 40/2004, il quale nell’attuale formulazione così dispone: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
Il DDL n. 824 aggiunge a seguire un ulteriore periodo: “Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”.
Gli effetti della modifica
In quanto delitto comune punito con la pena della reclusione di durata inferiore a tre anni, la surrogazione di maternità, se commessa da cittadini italiani in territorio estero, era già soggetta alla previsione dell’art. 9, comma 2, cod. pen., che la rendeva punibile a richiesta del Ministro della Giustizia.
Con la nuova disciplina tale condizione di procedibilità viene meno e la condotta di reato diventa punibile incondizionatamente.
Semplificazioni mediatiche fuorvianti
La brevissima sintesi fatta in apertura aiuta a sgombrare il campo da alcune semplificazioni mediatiche decisamente approssimative.
Il DDL n. 824:
- non ha introdotto una nuova fattispecie incriminatrice; la surrogazione di maternità era già sanzionata penalmente dalla Legge n. 40/2004;
- non ha punito più severamente la condotta; la pena è rimasta identica;
- non ha consentito ex novo la punibilità del cittadino italiano che tiene tale condotta illecita all’estero; questa possibilità, come detto, era già prevista dal citato art. 9, comma 2, cod. pen.
- non ha dato vita ad un reato universale: è tale, secondo la definizione che ne dà il vocabolario Treccani, un reato punibile ovunque e da chiunque sia stato commesso, che sia cittadino o straniero; queste caratteristiche sono generalmente associate a reati che offendono nel modo più grave e con la più ampia diffusività i beni giuridici posti all’apice della piramide valoriale di ogni comunità umana: sono sicuramente tali i crimini contro l’umanità in quanto compresi in quello che Mireille Delmas-Marty definì il “droit pénal de l’inhumain”, intendendo per “inumano” ciò che è così smisurato da collocarsi alla massima distanza dall’umanità come è comunemente intesa; non sembra avere nulla del reato universale, come appena definito, un reato punito nel massimo con una pena detentiva non superiore a due anni e che criminalizza una condotta che, per quanto rimproverabile possa considerarsi, è abitualmente il frutto di un disagio economico (madre surrogata) o del desiderio di genitorialità (genitori intenzionali).
Temi di riflessione
…L’abolizione della condizione di procedibilità della richiesta ministeriale
L’unica reale modifica introdotta dal DDL n. 824 è dunque l’eliminazione – disposta soltanto per la surrogazione di maternità mentre la commercializzazione di gameti o embrioni rimane soggetta al precedente regime – della condizione di procedibilità prima indispensabile.
Nella considerazione giurisprudenziale (cfr. Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 30127/2015) “la richiesta di procedimento rappresenta un atto assolutamente discrezionale – non suscettibile d’autotutela, non revocabile (tali facoltà, diversamente che nella querela, non essendo previste da alcuna norma) e non sindacabile – interamente rimesso alla scelta del Ministro della Giustizia in base al «principio generale» che esso Ministro rappresenta «l’organo tecnicamente qualificato e politicamente idoneo a presiedere alle relazioni tra il Governo e l’Amministrazione della giustizia, esplicando a tal fine il potere di dare o rifiutare le autorizzazioni a procedere, nonché di fare istanza e richiesta di procedimento nei casi previsti dalla legge”.
Il venir meno di tale condizione di procedibilità implica dunque l’esclusione di un filtro politico finalizzato a consentire da un lato un adeguamento bilanciamento tra l’esigenza di effettività della legge penale e la considerazione dei profili soggettivi della condotta e, dall’altro, un’attenta ponderazione dei riflessi che l’extra-territorialità della giurisdizione nazionale potrebbe generare nelle relazioni internazionali del nostro Stato, particolarmente con gli Stati esteri la cui legislazione non penalizza tout court la surrogazione di maternità o la penalizza soltanto se motivata da finalità commerciali (surrogazione retribuita), facendo salva quella con esclusivamente finalità solidaristiche (surrogazione gratuita).
Si rinvia per un’elencazione sintetica degli Stati che consentono una o entrambe queste forme di surrogazione a un recentissimo approfondimento di Elena Tebano per Il Corriere della Sera, consultabile a questo link.
Il nuovo regime normativo elimina in radice queste opportunità di riflessione e non pare sia un bene.
Si segnala ancora, come ulteriore fattore da tenere in considerazione, che dal 2004 (anno di emanazione della Legge n. 40) ad oggi non risulta, quantomeno per ciò che è possibile ricavare da fonti aperte, alcuna richiesta ministeriale per condotte di maternità surrogata, sebbene si ritenga, in base a stime puramente empiriche, che ogni anno nascano all’estero mediante surrogazione di maternità tra i 250 e i 350 bambini figli di genitori “intenzionali” italiani (dati ricavati dall’articolo della Tebano dianzi menzionato).
Lo si considera un chiaro segnale, emanato da Esecutivi di ogni colore politico ed ideologico, di non usare la mano pesante nei confronti di istinti e condotte che affondano in sentimenti primordiali degli esseri umani e che per di più possono manifestarsi in territori stranieri la cui legislazione si attiene a principi diversi dalla nostra.
D’ora in avanti questa regola non scritta di comportamento cessa di esistere e il nostro Stato rivendica la propria prerogativa di imporre ai cittadini italiani ciò che è inteso come moralità pubblica dovunque essi si trovino e quale che sia la legislazione dello Stato straniero in cui agiscono.
…La doppia incriminabilità
Una questione strettamente connessa all’abolizione della richiesta ministeriale come condizione di procedibilità è quella dell’operatività del principio della cosiddetta “doppia incriminabilità”.
Così ne parla Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 13525/2016: “al di là delle contrapposizioni dottrinali, è controversa anche presso la giurisprudenza la questione se, per punire secondo la legge italiana il reato commesso all’estero, sia necessario che si tratti di fatto previsto come reato anche nello stato in cui fu commesso (cosiddetta doppia incriminabilità). Ed, infatti, in alcune decisioni si afferma che tale principio opera esclusivamente ai fini dell’estradizione, mentre, in tema di reati commessi all’estero e di rinnovamento del giudizio (artt. 7 e segg., 11 c.p.), la qualificazione delle fattispecie penali deve avvenire esclusivamente alla stregua della legge penale italiana, a nulla rilevando che l’ordinamento dello Stato nel cui territorio il fatto è stato commesso non preveda una persecuzione penale dello stesso fatto (Sez. 2, n. 2860 del 6 dicembre 1991 – dep. 16 marzo 1992, Rv. 189895); in altre si è ritenuto che, in tema di reati commessi all’estero, al di fuori dei casi tassativamente indicati all’art. 7 c.p., è condizione indispensabile per il perseguimento dei reati commessi all’estero dallo straniero che questi risultino punibili come illeciti penali, oltre che dalla legge penale italiana, anche dall’ordinamento del luogo dove sono stati consumati, ancorché con nomen iuris e pene diversi (Sez. 1, n. 38401 del 17 settembre 2002, Rv. 222924)”.
Nel caso di specie, peraltro, la decisione dei giudici di legittimità si è risolta nel rigetto del ricorso del PM avverso una sentenza del GUP di Napoli che ha prosciolto due persone imputate di concorso nel reato previsto dall’art. 12, comma 6, Legge n. 40/2004 e nei reati previsti dagli artt. 495, 567, comma 2, e 48 e 476, cod. pen., in conseguenza di una maternità surrogata in Ucraina, realizzata utilizzando, ai fini dell’impianto, ovuli di una madre surrogata e spermatozoi di uno dei due imputati.
Come si legge nella decisione n. 13525:
“La sentenza impugnata, dopo avere dato atto della conformità della procedura seguita alla disciplina dello Stato in cui il minore, cittadino italiano in quanto figlio di padre italiano, era nato, ha assolto gli imputati: a) dal reato sub 1, perché il fatto non costituisce reato, sostanzialmente rilevando che, nonostante il ridimensionamento della portata della decisione n. 162 del 2014 della Corte costituzionale, quale operato in sede di motivazione, comunque gli imputati non avevano alcuna volontà di commettere un illecito, come dimostrato dal fatto che si erano recati in una nazione ove la pratica di procreazione era lecita, con la conseguenza che era configurabile la causa scriminante dell’esercizio putativo del diritto; b) dai restanti reati perché il fatto non sussiste, in quanto gli imputati, senza attestare alcunché, si erano limitati a richiedere la trascrizione di un atto ufficiale redatto dai pubblici uffici di Kiev in conformità alla normativa vigente, talché non era individuabile alcun atto falso o dolosamente creato sulla base di dichiarazioni non veritiere degli stessi”.
Come si diceva, il collegio della quinta sezione penale ha rigettato il ricorso del PM senza avvertire il bisogno di impegnarsi sulla questione della doppia incriminabilità.
Resta tuttavia il fatto, e se ne dà atto nella motivazione, che la tesi che ne sostiene l’ineludibilità ha un suo non trascurabile seguito sia in dottrina che in giurisprudenza.
L’assenza di qualsiasi riferimento nel DDL 824 al parametro in esame costituisce un serio ostacolo alla futura proposizione di tesi interpretative che invece lo presuppongano.
…La sorte dei bambini nati da maternità surrogata: i principi stabiliti dalle Sezioni unite civili
Come sempre nel diritto, dietro le questioni e i concetti astratti ci sono gli esseri umani con le loro vite, i loro sentimenti e la loro irripetibile unicità.
Tra questi esseri, quando si parla di maternità surrogata, vanno inevitabilmente inclusi quelli che ne sono il frutto incolpevole, i figli, la cui tutela è ostacolata dall’inesistenza di una disciplina giuridica specificamente prevista per loro.
La spia primaria di discipline normative incompiute, dimentiche, reticenti, contraddittorie, in una parola inadeguate, è sempre la giurisprudenza.
Ne è un esempio la recente sentenza n. 38162/2022 delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, allegata in forma debitamente anonimizzata alla fine del post.
Usiamo le parole dell’estensore per descrivere la vicenda sottostante.
“Il caso che ha dato origine al giudizio riguarda un bambino nato all’estero da maternità surrogata. In base al progetto procreativo condiviso dalla coppia omoaffettiva, uno dei due uomini ha fornito i propri gameti, che sono stati uniti nella fecondazione in vitro con l’ovocita di una donatrice. L’embrione è stato poi trasferito nell’utero di una diversa donna, non anonima, che ha portato a termine la gravidanza e partorito il bambino.
I due uomini, entrambi di cittadinanza italiana, si sono uniti in matrimonio in Canada e l’atto è stato trascritto in Italia nel registro delle unioni civili.
Quando il bambino è venuto alla luce, le autorità canadesi hanno formato un atto di nascita che indicava come genitore il solo padre biologico, mentre non sono stati menzionati né il padre intenzionale, né la madre surrogata, né la donatrice dell’ovocita.
Accogliendo il ricorso della coppia, nel 2017 la Corte Suprema della British Columbia ha dichiarato che entrambi i ricorrenti devono figurare come genitori del bambino e ha disposto la corrispondente rettifica dell’atto di nascita in Canada.
Costoro, sulla base del provvedimento della Corte Suprema della British Columbia, hanno chiesto all’ufficiale di stato civile italiano di rettificare anche l’atto di nascita del bambino in Italia, che indicava come genitore il solo padre biologico.
L’ufficiale di stato civile ha rifiutato la richiesta, sia perché esisteva già un atto di nascita trascritto, sia per l’assenza di dati normativi certi e di precedenti favorevoli da parte della giurisprudenza di legittimità.
In seguito al rifiuto opposto alla loro richiesta, hanno proposto ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. alla Corte d’appello.
Con tale atto i ricorrenti hanno chiesto, a norma dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995, il riconoscimento del provvedimento canadese in Italia. Essi hanno sottolineato la non contrarietà all’ordine pubblico del suddetto provvedimento canadese, già passato in giudicato, e la liceità delle condotte che hanno determinato la nascita del bambino secondo le leggi del Paese in cui sono state poste in essere.
L’Avvocatura dello Stato si è costituita per il Sindaco del Comune di […], nella qualità di ufficiale del Governo, e per il Ministero dell’interno, sollevando l’eccezione preliminare d’inammissibilità della domanda per contrarietà all’ordine pubblico.
Il Pubblico Ministero è intervenuto opponendosi all’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza del 16 luglio 2018, la Corte d’appello, in accoglimento del ricorso, ha accertato che la sentenza emessa dalla Suprema Corte della British Columbia in data 8 settembre 2017 […] possiede i requisiti per il riconoscimento a norma dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995.
Secondo la Corte territoriale , la circostanza che nel sistema delle fonti interne non sia previsto il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso, e quindi che non sia concesso di attribuire automaticamente ad entrambi la responsabilità genitoriale del minore nato dalla procreazione medicalmente assistita, si risolve nell’evidenza di una diversità di discipline sostanziali, ma non è di per sé indice dell’esistenza di un principio superiore, fondante e irrinunciabile, dell’assetto costituzionale italiano o dell’ordinamento dell’Unione europea.
La Corte d’appello ha rilevato che rientra tra i diritti fondamentali la tutela del superiore interesse del minore in ambito interno e internazionale, come sancita dalle convenzioni internazionali.
L’ordine pubblico internazionale – ha sottolineato la Corte – impone di assicurare al minore la conservazione dello status e dei mezzi di tutela di cui egli possa validamente giovarsi in base alla legislazione nazionale applicabile, in particolare del diritto al riconoscimento dei legami familiari ed al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto il riferimento della responsabilità genitoriale.
Né – ha proseguito la Corte – può ricondursi all’ordine pubblico la previsione che il minore debba avere genitori di sesso diverso, posto che nel nostro ordinamento è contemplata la possibilità che il minore abbia due figure genitoriali dello stesso sesso nel caso in cui uno dei genitori abbia ottenuto la rettificazione dell’attribuzione del sesso.
Quanto al divieto di ricorrere alla pratica della surrogazione di maternità, di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, la Corte d’appello ha osservato che le scelte del legislatore italiano sono frutto di discrezionalità e non esprimono principi fondanti a livello costituzionale che impegnino l’ordine pubblico. Non potrebbe ritenersi rilevante la sanzione penale comminata dal citato art. 12, comma 6, che punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizzi, organizzi o pubblicizzi la maternità surrogata, dato che il divieto e la sanzione penale non si sovrappongono alla valutazione del miglior interesse del minore concepito all’estero con tali tecniche, il quale non potrebbe essere privato dello status legittimamente acquisito nel Paese in cui è nato”.
L’ordinanza della Corte di appello è stata impugnata per cassazione dal Ministero dell’Interno e dal Sindaco nella qualità di ufficiale di Governo.
Il ricorso, assegnato alla prima sezione civile della Corte Suprema è stato da questa devoluto al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite. L’istanza è stata accolta.
L’organo nomofilattico, sulla scorta di un ragionamento complessivo qui impossibile da riassumere, ha formulato il seguente principio di diritto:
“Poiché la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci. Nondimeno, anche il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo in-staurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983. Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita”.
Si evidenzia poi, per il suo elevato valore civile prima ancora che giuridico un solo specifico passaggio della decisione delle Sezioni unite:
“Una discriminazione del bambino, fatta derivare dallo stigma verso la decisione dell’adulto di aver fatto ricorso a una tecnica procreativa vietata nel nostro ordinamento, si risolverebbe in una violazione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, ponendo a carico del nato conseguenze riconducibili unicamente alle scelte di chi ha concepito la sua nascita.
Il nato non è mai un disvalore e la sua dignità di persona non può essere strumentalizzata allo scopo di conseguire esigenze general-preventive che lo trascendono. Il nato non ha colpa della violazione del divieto di surrogazione di maternità ed è bisognoso di tutela come e più di ogni altro. Non c’è spazio per piegare la tutela del bambino alla finalità dissuasiva di una pratica penalmente sanzionata. Il disvalore della pratica di procreazione seguita all’estero non può ripercuotersi sul destino del nato. Occorre separare la fattispecie illecita (il ricorso alla maternità surrogata) dagli effetti che possono derivarne sul rapporto di filiazione e in particolare su chi ne sia stato in qualche modo vittima”.
Si raccomanda comunque la lettura integrale della sentenza, preziosa anche per i raffronti con la giurisprudenza costituzionale e convenzionale.
Note conclusive
Molto di più ci sarebbe da dire ma si crede che quanto già detto possa comunque offrire un quadro sufficientemente chiaro non solo dell’intervento normativo commentato ma dei bisogni umani collegati alla genitorialità ed alla filiazione.
