Consiglio di Stato, Sez. 6^ giurisdizionale, sentenza n. 8115/2024, udienza del 19 settembre 2024, pubblicata il 9 ottobre 2024, ha chiarito che il lasso di tempo, intercorso fra il momento di realizzazione dell’abuso e le misure repressive, non determina l’insorgenza di un affidamento legittimo in merito alla legittimità degli interventi, né consegue un più ampio onere motivazionale in capo all’Amministrazione procedente (Cons. Stato, A.P., n. 9/2017).
La giurisprudenza amministrativa ha più volte ricordato che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata e che impongono la rimozione dell’abuso.
Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
Secondo un indirizzo ormai costante, consolidatosi anche a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 9 del 17 ottobre 2017, “[l]’ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi” (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 20/07/2022, n. 6373; in termini anche Cons. Stato, sez. VI, 21/06/2022, n. 5115 e Cons. Stato, Sez. VI, 01/07/2023, n. 5433).
Nel medesimo solco si pone l’orientamento pretorio che, più in generale, afferma che “l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi” (Cons. Stato, sez. VI, 09/06/2022, n. 4722).
Inoltre, la procedura sanzionatoria degli abusi edilizi prevede la notifica dell’ordinanza di demolizione al proprietario ed al responsabile dell’abuso, che sono chiamati non in via alternativa, ma congiunta e simultanea, a ripristinare il corretto assetto edilizio violato: il presupposto per l’adozione del provvedimento demolitorio è l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia, ma non l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito. Conseguentemente i soggetti tenuti ad eseguire l’ordine ripristinatorio sono – in virtù del diritto dominicale – il proprietario ed il responsabile dell’abuso.
Il soggetto passivo viene individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete al proprietario, anche qualora non è responsabile (Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2020, n. 8283).
L’ordine di demolizione va qualificato come sanzione reale, che, sotto un profilo oggettivo, mira a ripristinare il regolare sviluppo ed assetto del territorio. Esso va quindi emesso nei confronti di chi sia titolare di un collegamento qualificato con il bene, idoneo a permettere un intervento sulla res funzionale alla concreta rimozione dell’abuso. Tale collegamento va riscontrato in capo al proprietario, anche se non è responsabile in via diretta. Quello che giuridicamente rileva è che abbia la materiale disponibilità del bene, che gli consenta di intervenire direttamente al ripristino dello stato dei luoghi. La mancata individuazione del responsabile materiale dell’abuso edilizio non può pertanto portare ad escludere che l’ordine di demolizione vada comunque rivolto al proprietario proprio perché questi, anche se estraneo all’abuso, rimane comunque il destinatario finale degli effetti del provvedimento, il cui contenuto dispositivo è, per l’appunto, la demolizione di un bene su cui egli vanta il proprio diritto (Cons. Stato, sez. VI, 10.5.2021, n. 3660).
Non è necessario stabilire se il proprietario sia responsabile dell’abuso, in quanto l’art. 31 del DPR n. 380/2001 si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento della sua responsabilità. Eventuali rapporti di dipendenza tra il proprietario e il responsabile dell’abuso ed il susseguirsi della proprietà, ma anche altri titoli adottati successivamente, sono irrilevanti ai fini della sua oggettiva responsabilità, stante la sua totale disponibilità dell’immobile al momento dell’adozione del provvedimento gravato.
Stante lo scopo meramente ripristinatorio dello status quo ante dell’ordinanza demolitoria, senza che vi sia, nella stessa, alcuna finalità punitiva e visto l’incontestato rapporto di natura reale che gli odierni appellanti all’immobile oggetto del giudizio, le ordinanze sono sufficientemente motivate.
Per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è richiesto l’accertamento della responsabilità materiale nell’illecito, ma piuttosto l’individuazione del soggetto titolare del diritto di eseguire l’ordine ripristinatorio, che nel caso specifico è il proprietario in virtù del suo diritto dominicale (Cons. Stato, sez. III, 19.2.2024, n. 1617).
