Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 37403/2024, udienza del 19 settembre 2024, ha escluso che, allorché un teste ritratti in dibattimento le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari, il giudice possa utilizzare queste ultime per fini diversi dalla mera valutazione sulla credibilità del dichiarante.
In fatto
Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 24 marzo 2023 dal Tribunale nei confronti di AGT, per il reato di cui all’art. 648 cod. pen.
Ricorso per cassazione
Ha proposto ricorso per cassazione il suddetto imputato, a mezzo del proprio difensore, formulando un unico motivo di impugnazione, con cui lamenta, sotto il profilo dell’inosservanza di norme processuali, la valutazione di inverosimiglianza delle dichiarazioni a discarico rese in dibattimento da ASL, privilegiando viceversa quanto riferito durante le indagini.
L’ammissione del precedente mendacio da parte della teste avrebbe, peraltro, imposto l’interruzione dell’esame, ai sensi dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen. 3. Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato, da ultimo, dall’art. 11, comma 7, decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18).
La decisione della Corte di cassazione
Il ricorso è fondato, nei termini e per le ragioni che seguono.
La sentenza impugnata legge in endiadi le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria e la deposizione testimoniale resa in dibattimento, dal contenuto radicalmente diverso rispetto ai fatti in contestazione (prima affermando e poi negando la dichiarante che l’imputato le avesse ceduto il cellulare oggetto di imputazione), e opta, infine, per la maggiore attendibilità della originaria narrazione, alla luce della finalità favoreggiatrice che si poteva dedurre dalla nuova versione.
Nel vigente sistema processuale, la discrasia tra quanto riferito durante le indagini preliminari e in sede di esame, è superabile unicamente mediante il meccanismo delle contestazioni, ai sensi dell’art. 500 cod. proc. pen. In ogni caso, ai sensi del comma 2 di quest’ultima disposizione, le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate esclusivamente ai fini della credibilità del teste, ma – in ossequio al basilare principio per cui la prova si forma in dibattimento – non possono mai essere recuperate con efficacia probatoria (salvi i casi – particolari e inconferenti rispetto a quanto qui rileva – di cui ai successivi commi 4-5-6-7).
Se è vero, infatti, che deve tenersi conto di quanto riferito dal testimone durante le indagini preliminari, legittimamente utilizzando il verbale di sommarie informazioni per le contestazioni, laddove ciò permetta di accertare l’inattendibilità della ritrattazione effettuata dal medesimo testimone in dibattimento (Sez. 2, n. 15652 del 21/12/2022, dep. 2023, Rv. 284485-02; Sez. 5, n. 13275 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 255185- 01), le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone, per essere recepite e valutate come rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, devono comunque essere state confermate, anche se in termini laconici.
Si ricade, viceversa, nell’ipotesi di cui all’art. 500, comma 2, cod. proc. pen., qualora le dichiarazioni dibattimentali permangano difformi da quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni (Sez. 2, n. 35428 dell’8/05/2018, Rv. 273455-01; Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017; Rv. 270091-01.
È stato, altresì, ulteriormente specificato da Sez. 3, n. 20388 del 17/02/2015, Rv. 264035-01, e da Sez. 2, n, 13910 del 17/03/2016, Rv. 266445-01, che le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone possono essere valutate solo ai fini della credibilità, ma mai come elemento di riscontro o come prova dei fatti in esse narrati, neppure quando il dichiarante, nel ritrattarle in dibattimento asserendone la falsità, riconosca di averle rese).
La Corte, al contrario, per la propria ricostruzione della vicenda storica, ha semplicemente privilegiato il materiale prettamente investigativo, senza richiamare alcuna fattispecie processuale legittimante al diretto utilizzo del dato informativo derivante dalla fase pre-processuale (né altra indicazione è ricavabile dalla motivazione di primo grado, che si limita a richiamare, in maniera anodina, le «dichiarazioni dei testi dedotti dal P.M.»).
Nell’impossibilità di utilizzare contra reum le prime dichiarazioni della teste, perde anche di significato l’ulteriore argomento dei giudici di merito – astrattamente corretto, ma logicamente successivo all’accertamento della effettiva disponibilità della refurtiva in capo all’imputato – inerente alla mancanza di plausibili spiegazioni da parte del ricorrente in merito alla provenienza della cosa.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello che, nel valutare il compendio istruttorio, terrà conto dei rilievi sopra indicati.
