Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte: configurabilità in caso di “prima casa” del debitore (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 36475/2024 ha esaminato la questione relativa alla configurabilità del reato di cui all’articolo 11 del d. lgs. n. 74 del 10 marzo 2000 nel caso di sottrazione al pagamento delle imposte della “prima casa” del debitore.

Fatto

La Corte territoriale confermava la decisione del 30 giugno 2021, con cui il Tribunale aveva condannato M.P. alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 11 del d. lgs. n. 74 del 2000, commesso in […], data della stipula della vendita di un immobile sito in … in favore della sorella P.P.; tale vendita era avvenuta simulatamente allo scopo di sottrarre il patrimonio dell’imputato al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, oltre relativi interessi e sanzioni, per un ammontare pari a 288.880,05 euro.

Con la sentenza di primo grado, M.P. era stato altresì condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile Equitalia, liquidati in euro 15.000. 

Nel ricorso della difesa si contesta il giudizio sulla sussistenza del reato, evidenziandosi che, al momento del compimento dell’atto ritenuto fraudolento, l’imputato non era proprietario di altro immobile, oltre a quello sito in …, che costituiva anche la sua abitazione di residenza, il che già valeva a escludere la configurabilità della fattispecie contestata, posto che, ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973, quando creditore è l’agente per la riscossione, non può essere pignorato l’immobile non di lusso che sia l’unico di proprietà del contribuente e che sia l’abitazione ove questi risiede, dovendosi quindi escludere che l’immobile fosse sottoponibile alla procedura esecutiva.

Decisione

L’impostazione del Tribunale e della Corte di appello risulta in tal senso coerente con la costante affermazione della Suprema Corte (cfr. Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018, Rv. 274066 e Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Rv. 266771), secondo cui il delitto previsto dall’art. 11 del d. lgs. n. 74 del 10 marzo 2000 è un reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei, secondo un giudizio “ex ante” che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario, a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria, ciò peraltro a prescindere dalla sussistenza di un’esecuzione esattoriale in atto.

Proprio la pacifica natura di reato di pericolo della fattispecie in esame (cfr. in tal senso anche Sez. 3, n. 35983 del 17/09/2020, Rv. 280372) consente peraltro di superare l’obiezione difensiva secondo cui il bene immobile oggetto di trasferimento era gravato da precedenti iscrizioni ipotecarie, posto che il disvalore del reato per cui si procede si incentra nel compimento degli atti simulati o fraudolenti oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, ciò a prescindere dalla sorte che potrà avere la procedura di recupero del credito erariale, assumendo invece rilievo il superamento della soglia di punibilità di 50.000 euro, soglia che, come precisato dalla cassazione (cfr. Sez. 3, n. 15133 del 17/11/2017, dep. 2018, Rv. 272505), deve essere riferita non al valore dei beni simulatamente o fraudolentemente trasferiti, ma all’ammontare delle imposte che il Fisco deve recuperare, non essendovi dubbi nel caso di specie sul superamento di tale soglia, stante l’entità del debito accumulato da M.P. 

Non sufficientemente specifica, perché non supportata da adeguate allegazioni (anche in sede di giudizio di cassazione), è rimasta poi l’obiezione circa l’asserita impignorabilità dell’immobile oggetto del negozio simulato, dovendosi richiamare al riguardo l’affermazione della Suprema Corte (cfr. Sez. 3, n. 30342 del 16/06/2021, Rv. 282022 e Sez. 3, n. 8995 del 07/11/2019, dep. 2020, Rv. 278275), secondo cui, in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98), opera solo per debiti nei confronti dell’Erario e non di altre categorie di creditori, riguarda l’unico immobile di proprietà (circostanza questa non comprovata nella vicenda in esame) e non la “prima casa” del debitore, e non costituisce un limite all’adozione della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, e del sequestro preventivo ad essa finalizzato.

In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni non illogiche e anzi coerenti con le coordinate interpretative di riferimento, il giudizio sulla sussistenza e sull’attribuibilità all’imputato del reato contestato resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita sostanzialmente, peraltro in termini non specifici, una differente lettura delle acquisizioni probatorie, operazione questa non consentita in sede di legittimità, dovendosi richiamare in proposito la consolidata affermazione della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).