Evasione: conflitto interpretativo sulla configurabilità nel caso di allontanamento dal domicilio previo avviso alla forze dell’ordine (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 36522/2024 ha esaminato il caso di persona che si allontana dal proprio domicilio previo avviso alle forze dell’ordine e la configurabilità del reato di evasione o di violazione dell’art. 75, comma 2, d. lgs. n. 159 del 2011, per aver violato le specifiche prescrizioni della misura della sorveglianza speciale, cioè l’obbligo di non uscire dal luogo di abitazione dopo le 21.

Fatto

Con il primo motivo si deduce errore l’applicazione dell’art. 75, comma 2, d. Igs. n. 159 del 2011 e vizio di motivazione.

Il giudice di secondo grado individua due orientamenti, distinti tra loro e contrapposti, in tema di inottemperanza dell’obbligo di rimanere nell’abitazione per soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale, affermatisi in tema di evasione dagli arresti domiciliari, senza indicare, nella motivazione, le ragioni per le quali ha aderito al secondo indirizzo ermeneutico, riferendosi, peraltro, il primo, a parere della difesa, a un caso perfettamente coincidente a quello in esame.

Si sostiene che, nel caso di specie, i Carabinieri sono sopraggiunti presso l’abitazione dell’imputato solo a seguito di chiamata dalla parte dello stesso L. sull’utenza mobile del Maresciallo M.

Questi, peraltro, erano presenti al momento dell’allontanamento dell’imputato dall’abitazione quando L. si è avviato verso la caserma dei Carabinieri.

Si richiama l’orientamento giurisprudenziale espresso da Sez. 6, n. 28223 del 2023, secondo il quale non integra il delitto di evasione la condotta di chi, trovandosi in stato di detenzione domiciliare si allontana dal luogo di detenzione domiciliare, per farsi trovare al di fuori dell’abitazione, in attesa dei Carabinieri prontamente informati della sua intenzione di farsi arrestare (si richiama anche Rv. 265451).

Il dolo del reato è generico, consistendo nella consapevolezza degli obblighi da adempiere, per effetto della condizione di sorvegliato speciale e della volontà cosciente di inadempimento di detti obblighi; tuttavia, nel caso di specie mancherebbe la volontà di violare gli obblighi dal momento che all’allontanamento, con direzione verso la caserma dei Carabinieri.

In definitiva, per il ricorrente non è sottesa all’azione alcuna intenzione di sottrarsi agli obblighi né alla sfera di controllo degli stessi militari presenti alla condotta.

Decisione

La Suprema Corte premette che con riferimento al caso in cui l’imputato si allontani dal domicilio per recarsi dalle forze dell’ordine, a rappresentare l’insostenibilità della convivenza con i familiari la volontà di rientrare in carcere e di porre fine al regime degli arresti domiciliari, si sono registrati due opposti orientamenti.

Il primo, maggioritario, indirizzo assume che il dolo del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari è generico, essendo necessaria e sufficiente – in assenza di autorizzazione – la volontà di allontanamento nella consapevolezza del provvedimento restrittivo a proprio carico, non rivestendo alcuna importanza lo scopo che l’agente si propone con la sua azione (Sez. 6, n. 52496 del 03/10/2018, Rv. 274295; Sez. 6, n. 7842 del 01/06/2000, Rv. 217557; Sez. 6, n. 19639 del 09/01/2004, Rv. 228315; Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012, Rv. 252288).

Il secondo l’orientamento, minoritario, afferma che “in tema di evasione, deve ritenersi insussistente il dolo nella condotta di colui che, trovandosi agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, se ne allontani per recarsi, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri” (Sez. 6, n. 25583 del 05/02/2013, Rv. 256806) e, ancora, che “non integra il delitto di evasione la condotta di chi, trovandosi in stato di detenzione domiciliare, si allontani dalla propria abitazione per farsi trovare al di fuori di essa in attesa dei carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere” (Sez. 6, n. 44595 del 06/10/2015, Rv. 265451).

Ciò perché deve essere esclusa ogni offensività concreta, ex art. 49, comma secondo, cod. pen., nella condotta dell’imputato, mai sottrattosi alla possibilità di controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza.

L’indirizzo al quale aderisce la Corte di appello, cui la Cassazione intende dare continuità, peraltro, è conforme all’orientamento già espresso dalla Suprema Corte in relazione al reato di cui all’art. 72, comma 2, d. lgs. n. 159 del 2011.

Con riferimento alla violazione delle prescrizioni accedenti alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, il reato previsto dall’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011 si consuma nel momento in cui il sorvegliato speciale compie, in modo consapevole e volontario, la condotta che infrange il divieto o l’obbligo che sostanzia la prescrizione.

Va, per il resto, ribadito che, in tema di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, per integrare il delitto di cui all’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza degli obblighi da adempiere per effetto della condizione di sorvegliato speciale e la cosciente volontà di inadempimento di detti obblighi, a nulla rilevando le finalità che abbiano specificamente ispirato la condotta del sorvegliato speciale (Sez. 1, n. 21284 del 19/07/2016, dep. 2017, Rv. 270262 – 01; Sez. 1, n. 17465 del 9/2/2022, non massimata; v., con riferimento al quadro normativo vigente prima del d. Igs. n. 159 del 2011, Sez. 1, n. 31212 del 22/04/2009, Rv. 244291 – 01).

Quindi, la soluzione proposta dalla Corte territoriale, in diritto, è ineccepibile e, comunque, la motivazione svolta non è né apparente né manifestamente illogica.