Proroga delle indagini autorizzata dal GIP a dibattimento già iniziato: nessuna abnormità per la Cassazione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 36454/2024, udienza del 24 settembre 2024, ha affermato che non è abnorme il provvedimento con il quale il GIP concede la proroga del termine stesso per un tempo già scaduto al momento dell’autorizzazione, anche se intervenuto mentre è già in corso la fase dibattimentale.

In fatto

Con due diverse ordinanze del 19/09/2023 il GIP, in accoglimento delle richieste del PM in data – rispettivamente – 27 febbraio 2020 e 3 luglio 2020 – autorizzava la proroga per il compimento delle indagini preliminari, in relazione al procedimento a carico di BV e CLR per il reato di ricettazione.

Propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di CLR, eccependo l’abnormità strutturale, per carenza di potere in concreto, dei provvedimenti di proroga, in quanto emessi in una fase processuale, quella dibattimentale, in cui il GIP aveva esaurito la sua competenza funzionale; con specifico riferimento alla ordinanza emessa in risposta alla richiesta del 3 luglio 2020, deduce, inoltre, il difetto di legittimazione del PM alla proposizione dell’istanza, posto che il termine per completare le indagini doveva considerarsi scaduto per difetto di autorizzazione rispetto alla prima richiesta.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo.

Non è in contestazione che le richieste del PM siano pervenute al GIP prima della scadenza del termine per completare le indagini, come peraltro risulta dai relativi provvedimenti in atti (richiesta pervenuta presso l’ufficio GIP il 28 febbraio 2020, a fronte della scadenza del 25 marzo 2020; richiesta pervenuta il 6 luglio 2020 in prossimità della scadenza del 25 luglio 2020). Ciò posto, deve ribadirsi che non è abnorme il provvedimento con il quale il GIP concede la proroga del termine stesso per un tempo già scaduto al momento dell’autorizzazione, poiché una tale limitazione rientra nella discrezionalità del giudice e realizza la ratio dell’art. 406, comma 2-bis, cod. proc. pen. – applicabile alla fattispecie, in considerazione della data dell’istanza – rendendo utilizzabili gli atti eventualmente compiuti nel tempo intermedio (Sez. 5, n. 659 del 16/02/1996, dep. 1997, Rv. 205120 – 01, in fattispecie nella quale l’istanza di proroga era stata presentata in prossimità della scadenza del termine; in tal senso, Sez. 2, n. 22346 del 04/05/2010, con la precisazione che ciò che rileva è il controllo da parte del GIP sull’operato del PM e sulle ragioni che rendono legittima la proroga).

L’unico limite – come già precisato in giurisprudenza – è l’assenza di una pronuncia decisoria da parte del giudice in relazione al procedimento (Sez. 3, n. 28124 del 26.5.2004, Bonvini, rv. 229066), per cui non rileva che l’autorizzazione sia intervenuta nel corso del dibattimento, fase processuale prodromica alla decisione.

L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’articolo 616, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Per la peculiarità della fattispecie non si applica la sanzione pecuniaria.

Commento

Il PM ha presentato due tempestive richieste di autorizzazione alla proroga dei termini per il compimento delle indagini preliminari e, in attesa della decisione del GIP, ha continuato ad accumulare atti investigativi.

Sia pure con un ritardo notevole, il GIP ha infine accolto le richieste e reso per ciò stesso utilizzabili gli atti compiuti dal PM nell’attesa del suo provvedimento.

Il collegio della seconda sezione penale della Suprema Corte non intravede alcun vizio in questa sequenza, attribuendo importanza decisiva a due aspetti: la tempestività delle richieste del PM e l’irrilevanza della transizione medio tempore alla fase dibattimentale del giudizio sul presupposto che, al momento dell’autorizzazione tardiva, non era stata emessa una pronuncia decisoria che, essa sì, avrebbe costituito un limite invalicabile.

Ciò che esclusivamente conta – afferma il collegio – è che il GIP abbia controllato l’operato del PM e valutato positivamente le ragioni da costui addotte a giustificazione della proroga.

È palese che, così ragionando, i giudici di legittimità hanno avallato la tesi di una competenza funzionale specifica del GIP che opererebbe anche dopo la conclusione delle indagini preliminari e potrebbe esplicarsi, come è in effetti avvenuto nel caso in esame, a dibattimento iniziato e fino al momento della sentenza.

La visione di cui è frutto la sentenza qui annotata appare piuttosto criticabile, pur dovendosi riconoscere che la monotematicità del ricorso al quale ha risposto (abnormità delle autorizzazioni tardive per carenza di competenza funzionale del GIP) potrebbe avere limitato lo spazio di movimento del collegio decidente.

Un significativo precedente di legittimità

È opportuno riflettere anzitutto sulla questione centrale, cioè l’assunto che il GIP conservi la competenza ad autorizzare la proroga delle indagini anche a dibattimento iniziato.

Vien utile a tal fine il raffronto con una più risalente decisione della Suprema Corte, precisamente Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 8795/2020, udienza del 29 novembre 2019, della quale si offre una sintesi limitata agli argomenti di interesse per l’oggetto di questo scritto.

Ad aprile del 2018 un GIP ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di vari indagati.

Tra i destinatari c’era un ex parlamentare e tra le fonti indiziarie a suo carico erano state utilizzate, senza previa autorizzazione della Camera di appartenenza, conversazioni che costui, quando era ancora in carica, aveva avuto con altre persone sottoposte a intercettazione.

L’interessato ha presentato istanza di riesame e il Tribunale competente l’ha accolta, dichiarando inutilizzabili quelle conversazioni.

Il PM ha impugnato l’ordinanza del collegio del riesame ma la Suprema Corte, con la sentenza 34552/2017 emessa dalla terza sezione penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Nel frattempo, il procedimento ha seguito il suo corso e, una volta emesso il decreto di giudizio immediato, il PM ha chiesto al giudice del dibattimento di trasmettere alla Camera dei deputati la richiesta di autorizzazione all’utilizzazione delle conversazioni citate, ai sensi dell’art. 6, comma 2, L. 140/2003.

Il Tribunale cui si è rivolto il PM ha ritenuto che la competenza a provvedere spettasse al GIP il quale, una volta ricevuta la nuova richiesta del PM, l’ha accolta, ha emesso l’ordinanza e l’ha trasmessa alla Camera.

La difesa dell’imputato ha impugnato per cassazione il provvedimento del GIP, denunciando l’abnormità dell’ordinanza del GIP in quanto emessa nell’esercizio di un potere che non gli spettava più, dato l’ampio superamento della fase procedimentale di sua competenza.

Ha richiamato a sostegno la decisione 255/2012 della Corte costituzionale che, dichiarando inammissibile una questione riguardante l’art. 224 cod. proc. pen., non ha avallato la tesi dell’ultrattività della funzione del GIP oltre la fase delle indagini.

Ha osservato in aggiunta che il citato art. 6, comma 2, non prevede alcun termine decadenziale né indica espressamente il GIP come unico giudice legittimato alla richiesta.

Con la citata decisione n. 8795/2020, il collegio della terza sezione penale ha ritenuto fondato il ricorso e lo ha accolto, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Ha particolarmente valorizzato a tal fine l’ordinanza 255/2012 della Corte costituzionale indicata dalla difesa.

Il caso sottoposto in quell’occasione alla Consulta riguardava la competenza a disporre la trascrizione delle intercettazioni a dibattimento già in corso ma le considerazioni utilizzate vanno oltre il tema specifico.

Si legge infatti nell’ordinanza che “al di là della formulazione del petitum, il risultato cui mira il giudice a quo – e che deriverebbe, a suo avviso, dalla pronuncia richiesta – è inequivocamente quello di devolvere al giudice per le indagini preliminari, anche a dibattimento in corso, le operazioni di selezione e trascrizione delle intercettazioni nei modi previsti dall’art. 268 cod. proc. pen., senza, peraltro, che ciò determini la regressione del procedimento; in tal modo, si verrebbe, peraltro, ad introdurre una competenza funzionale specifica del giudice per le indagini preliminari in materia di acquisizioni probatorie, destinata ad operare anche dopo che la fase delle indagini preliminari si è conclusa, la quale concorrerebbe, intersecandola, con quella “generale” del giudice del dibattimento: regime, questo, privo di riscontro nella sistematica del codice di rito”.

La sentenza della terza sezione penale trae le conseguenze di questa puntualizzazione di principio e qualifica l’ordinanza impugnata come atto abnorme, intendendosi per tale “un atto che provoca un vizio radicale da denunciare in ogni tempo, sia per mezzo delle impugnazioni, sia con autonoma azione”.

…e le sue implicazioni

La sentenza n. 8795/2020 e la decisione della Consulta ivi valorizzata – finanche inutile sottolinearlo – hanno avuto ad oggetto una competenza del GIP diversa da quella presa in considerazione dalla sentenza qui annotata: le operazioni di selezione e trascrizione delle intercettazioni la prima, l’autorizzazione alla proroga delle indagini la seconda.

Ciò nondimeno, se ne trae ugualmente un principio di cui sembrerebbe opportuno tener conto: nella sistematica del codice del rito penale non si riscontrano casi di competenze concorrenti, intendendo per tali quelle che si intersechino tra loro e, per ciò stesso, siano in grado di condizionarsi reciprocamente.

Se casi del genere non sono contemplati, si deve ritenere che il legislatore consideri negativamente tale eventualità in quanto potenzialmente produttiva di un disordine procedurale che nuocerebbe al corretto incedere del processo.

Il caso in esame sembra confermarlo.

Sebbene non si possa esserne certi, mancando qualsiasi riferimento specifico nella sentenza 36454/2024, si può ragionevolmente ritenere, alla luce dell’espressione testuale “autorizzazione intervenuta nel corso del dibattimento”, che tale autorizzazione sia stata concessa dopo l’esaurimento delle questioni preliminari e l’ammissione dei mezzi di prova.

Ciò potrebbe significare che i programmi probatori delle parti processuali siano stati formulati ed eventualmente ammessi ed avviati in una situazione di incertezza che nuoce all’accusa tanto quanto alla difesa ed è suscettibile di infliggere un danno alla regolarità del contraddittorio e alla ragionevole durata del processo.

Non è questa la sede per indicare soluzioni normative o interpretative in grado di prevenire o risolvere le problematicità appena evidenziate.

Un’esigenza del genere avrebbe potuto essere soddisfatta dal collegio della seconda sezione penale ma, a quanto pare, non è stata neanche avvertita.