Intercettazioni inutilizzabili: non possono essere usate per rigettare una domanda di riparazione per ingiusta detenzione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 486/2022, udienza del 3 dicembre 2021, ha affermato che l’inutilizzabilità delle intercettazioni, una volta riconosciuta, concretizza una ipotesi di evidente “illegalità” del mezzo di prova in questione, costituendo la disciplina delle intercettazioni concreta attuazione del precetto costituzionale, in quanto attuativa delle garanzie da esso richieste a presidio della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la cui inosservanza deve determinare la totale “espunzione” del materiale processuale delle intercettazioni illegittime, effetto che si riverbera inevitabilmente anche nel giudizio di riparazione.

Fatto

MF ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale per vari reati in materia stupefacenti (artt. 74 e 73 DPR 309/90) dai quali è stato definitivamente assolto, essendo stata riconosciuta l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche dalle quali dipendeva l’accusa nei suoi confronti.

La Corte d’appello competente ha respinto la sua richiesta.

La difesa dell’interessato ha fatto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’art. 314 c.p.p.

Decisione della Corte di cassazione

Il collegio ha ricordato in premessa che le Sezioni unite penali (sentenza n. 1153/2009) hanno da tempo affermato il principio secondo cui l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione.

La strada indicata dalla decisione appena menzionata è stata seguita e rafforzata da molte altre decisioni.

Tra queste si segnala Sez. 4^, sentenza n. 6893/2021 (udienza del 27 gennaio 2021), in cui si chiarisce che la distinzione tra inutilizzabilità “fisiologica” e “patologica” non può assumere alcun rilievo in sede di ingiusta detenzione. Difatti, l’inutilizzabilità delle intercettazioni, una volta riconosciuta, concretizza una ipotesi di evidente “illegalità” del mezzo di prova in questione, costituendo la disciplina delle intercettazioni concreta attuazione del precetto costituzionale, in quanto attuativa delle garanzie da esso richieste a presidio della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la cui inosservanza deve determinare la totale “espunzione” del materiale processuale delle intercettazioni illegittime, effetto che si riverbera inevitabilmente anche nel giudizio di riparazione.

Ed infatti, se è vero che il “divieto di utilizzazione” dei risultati comporta che essi siano del tutto “espunti” dalla realtà procedimentale, è arduo ritenere che possano egualmente essere legittimamente ritenuti eziologicamente connessi al provvedimento cautelare, determinativi dello stesso, emesso, in sostanza, sulla base di risultati acquisiti che devono, invece, considerarsi insussistenti sul piano fattuale perché inutilizzabili.

In definitiva, l’espunzione del dato dalla realtà procedimentale non può che comportare l’assoluta irrilevanza dello stesso, anche sul piano fattuale, sotto il profilo causale e genetico, rispetto ad un successivo atto procedimentale, poiché non appare possibile ritenere che una prova illegale (perché di tanto, come si è visto, si tratta) possa legittimamente assumere rilevanza causale rispetto ad un successivo atto determinativo dello stato di detenzione.

Conseguentemente, la sanzione di inutilizzabilità di cui all’art. 271 cod. proc. pen. non può derubricarsi, se non in termini costituzionalmente discutibili, a mero connotato endoprocessuale, tutt’interno, cioè, al processo penale.

Del resto, ove il procedimento cautelare sia stato emesso solo alla stregua di tali risultati captativi, dichiarati inutilizzabili e quindi del tutto espunti dalla realtà procedimentale, i gravi indizi di colpevolezza sarebbero, in tal caso, rinvenibili solo in elementi di valutazione e di giudizio che non avrebbero dovuto trovare affatto ingresso nella realtà procedimentale, sostanziandosi in una prova illegale, che giammai avrebbero potuto casualmente giustificare il provvedimento restrittivo.

La logica e condivisibile conclusione è stata l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.