Richiesta di revoca di sentenza di non luogo a procedere: l’indispensabile requisito della casualità e della spontaneità dei nuovi elementi di prova (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 17057/2022, udienza del 31 marzo 2022, ha analizzato gli effetti della decisione Romeo delle Sezioni unite sulla valutazione delle richieste di revoca delle sentenze di non luogo a procedere emesse ai sensi dell’art. 434, cod. proc. pen.

In fatto

…Il provvedimento impugnato

Con ordinanza emessa in data 11 novembre 2021 un GIP dichiarava inammissibile la richiesta del PM intesa a ottenere, ai sensi dell’art. 434 cod. proc. pen., la revoca della sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP dello stesso Tribunale il 15 gennaio 2016 nei confronti di DGA in relazione al reato di cui all’art. 416- bis, primo comma, cod. pen. (partecipazione all’associazione di tipo mafioso, denominata […], “riferibile al fratello NGA ed operante nella zona del crotonese”).

Ha sostenuto il GIP che nel caso di specie difetta il requisito della “casualità” che, secondo la costante giurisprudenza, deve contrassegnare le nuove acquisizioni processuali, in quanto “le indagini hanno avuto un unico coordinamento” e “può ritenersi insussistente una vera diversità di notitiae criminis”, dato che le investigazioni “hanno ad oggetto fatti parzialmente coincidenti, riferiti essenzialmente all’operatività sul territorio crotonese della cosca riferibile a NGA ed ai reati fine dalla stessa commessi”; inoltre, in ordine alla partecipazione di DGA all’associazione, le successive dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia LG, VA e MS “non possono ritenersi assunte nel corso di indagine estranee al procedimento già definito”, trattandosi di “vere e proprie investigazioni relative ad un procedimento avviato in riferimento alla medesima notizia di reato posta alla base di quello concluso con la sentenza di non luogo a procedere, essendo il medesimo l’oggetto dell’investigazione”.

…Il ricorso per cassazione

Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, ai sensi dell’art. 437 cod. proc. pen., chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per motivazione illogica e apodittica nonché per violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale (art. 416-bis cod. pen.).

Osserva il ricorrente che il procedimento penale nell’ambito del quale è stata emessa la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., oggetto della richiesta di revoca, è stato definito per tutti gli altri imputati con sentenze definitive, cosicché “non si comprende cosa possa significare un unico coordinamento investigativo tra un procedimento definito con sentenza irrevocabile ed uno in fase di indagine”.

Erroneamente il GIP, con una violazione di legge sostanziale, ha escluso la diversità di notitiae criminis, in quanto il nuovo procedimento ha ad oggetto la ultrattività della cosca […] per periodi successivi all’epoca dell’adozione della richiesta di rinvio a giudizio nel primigenio procedimento, “che è cosa ulteriore rispetto alla mera partecipazione del DGA a ‘quella’ consorteria, in un prescritto arco temporale”.

Il giudice non ha considerato la natura permanente del reato ex art. 416-bis cod. pen., in forza della quale gli approfondimenti dei segmenti associativi per periodi temporali differenti non costituiscono “investigazioni riferiti alla medesima notizia di reato”.

Il ricorrente, poi, sostiene che il GIP non ha correttamente applicato il principio affermato nella sentenza delle Sezioni unite (la n. 8 del 2000), pure citata nell’ordinanza impugnata, secondo il quale i nuovi elementi di prova acquisiti dal PM successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza, a condizione che essi siano stati acquisiti aliunde nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all’approfondimento degli elementi emersi.

 Le nuove investigazioni, infatti, dopo la sentenza di non luogo a procedere, non sono iniziate o proseguite nei confronti specificamente di DGA allo scopo di predisporne il rinvio a giudizio, bensì sono originate dalla necessità di investigare la ultrattività della consorteria cutrese e hanno poi determinato “casualmente” e “spontaneamente” l’acquisizione dei nuovi elementi di prova sulla base dei quali poter richiedere la revoca della sentenza nei confronti di quel singolo imputato per quella specifica porzione temporale. La novità degli elementi sopravvenuti (in primis le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia intervenute successivamente) consente di escludere ogni ipotesi di surrettizio aggiramento dei termini di scadenza delle indagini preliminari, per evitare il quale le Sezioni Unite hanno enunciato il principio sopra richiamato.

…Memoria difensiva

I difensori di DGA hanno depositato memoria, corredata di sedici documenti, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato.

Osserva la difesa, in via preliminare, che gli asseriti vizi dell’ordinanza impugnata, invero insussistenti, riguarderebbero una violazione di legge processuale, come tale non rientrante fra i motivi per i quali è consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 437 del codice di rito.

In ogni caso, correttamente il GIP ha ritenuto assente nel caso di specie il requisito della “casualità”, osservando che “le investigazioni, come ammesso dallo stesso PM, hanno ad oggetto fatti parzialmente coincidenti”.

Secondo la difesa, dalla documentazione allegata alla memoria traspare in maniera inconfutabile che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, il nuovo procedimento ha ad oggetto la partecipazione alla cosca […]” di DGA nel periodo temporale antecedente la sentenza di non luogo a procedere e che l’organo inquirente ha continuato a investigare per la stessa fattispecie di reato e per il medesimo intervallo temporale.

Dagli atti di polizia giudiziaria e dai consequenziali provvedimenti adottati emerge chiaramente che anche le acquisizioni delle dichiarazioni dei “pentiti” sono state il frutto di specifiche deleghe di indagine ovvero acquisite direttamente dal PM, il quale, nel corso degli interrogatori, insisteva specificamente sul ruolo dell’indagato nell’ambito della consorteria, sempre con riferimento allo stesso periodo.

La decisione della Corte di cassazione

Dispone l’art. 434, cod. proc. pen., che, se dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, emessa ex art. 425 dello stesso codice, «sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, dispone la revoca della sentenza».

In una risalente pronuncia, le Sezioni unite penali hanno statuito che, ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere, sono utilizzabili «quegli elementi di prova provenienti da altri procedimenti o raccolti incidentalmente nel corso di indagini diverse, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, che non siano frutto di un’attività investigativa proseguita ad hoc dall’organo dell’accusa – fuori altresì dal quadro processuale di riferimento ormai chiuso con il non luogo a procedere -, allo specifico scopo di predisporre il rinvio a giudizio del prosciolto, né siano il risultato di indagini, pure asseritamente indifferibili o urgenti, finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi, soccorrendo in tal caso l’opzione alternativa della riapertura delle indagini» (così Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, Romeo, Rv. 215412).

La successiva giurisprudenza di legittimità si è uniformata a questo principio (cfr., ad es., Sez. 5, n. 32547 del 27/10/2020, Rv. 279836; Sez. 6, n. 46488 del 11/07/2019, Rv. 277386; Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018, Rv. 274118; Sez. 6, n. 31970 del 02/07/2013, Rv. 255980), che invero non risulta controverso fra le parti ed è stato pure richiamato nell’ordinanza impugnata.

Il GIP, tuttavia, con la motivazione sopra riportata (pressoché integralmente), non ha spiegato in concreto per quale ragione difetta nel caso di specie il requisito della casualità, nel senso sopraindicato, essendosi limitato ad affermazioni apodittiche (“può ritenersi insussistente una vera diversità di notitiae criminis”; le investigazioni “hanno ad oggetto fatti parzialmente coincidenti”; le successive dichiarazioni rese dai tre collaboratori di giustizia “non possono ritenersi assunte nel corso di indagine estranee al procedimento già definito”, l’indagine avviata dal pubblico ministero è “relativa alla medesima notizia di reato”), rendendo una motivazione nella sostanza apparente.

Nella richiesta ex art. 434 cod. proc. pen., il PM ha evidenziato una serie di circostanze, richiamate nel ricorso, a supporto della tesi secondo la quale le nuove indagini sono originate dalla necessità di investigare la ultrattività della consorteria cutrese e hanno poi determinato “causalmente” e “spontaneamente” l’acquisizione dei nuovi elementi di prova riguardanti la partecipazione di DGA alla cosca nel periodo precedente, durante il quale – come successivamente accertato – egli si sarebbe reso responsabile del reato previsto dall’art. 512-bis cod. pen., con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, come contestato nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nel novembre 2020.

La difesa, per contro, nell’articolata memoria, corredata di copiosa documentazione, ha contestato radicalmente la prospettazione del PM, facendo riferimento alla identità e al collegamento dei procedimenti, alla sequenza temporale dei vari atti, al loro contenuto e ad altre circostanze ritenute indicative dell’assenza del presupposto della casualità.

Il giudice del merito, per contro, non ha reso una motivazione specifica e aderente alle risultanze degli atti prodotti, con un vuoto argomentativo che non può essere colmato in sede di legittimità, considerato che il collegio di legittimità sarebbe chiamato a valutazioni di merito in ordine alla fondatezza dell’una o dell’altra tesi, previo un esame degli atti stessi, non risultante nel corpo del provvedimento impugnato.

L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio al medesimo Tribunale (Sezione GIP), in diversa composizione fisica, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lett. d), del codice di rito.