Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 35869/2024, udienza del 16 settembre 2024, ha affermato che la presunzione relativa di inadeguatezza degli arresti domiciliari nei confronti del condannato per evasione, prevista dall’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., in quanto norma speciale, prevale sulla disposizione generale di cui all’art. 275, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen., non soltanto quando il giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore a tre anni, ma anche quando una pena inferiore a tale limite è già stata concretamente irrogata nel corso del giudizio.
Vicenda giudiziaria
Il Tribunale di …, giudicando ex art. 310 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza con cui il GIP aveva disposto la custodia cautelare nei confronti di A.D.B., imputato di spaccio di stupefacenti nell’ambito di un procedimento definito in primo grado, previa riqualificazione del fatto in lieve (art. 73, commi 1 e 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), con la condanna a due anni, due mesi e venti giorni di detenzione, oltre che a 3.000 euro di multa.
Ricorso per cassazione
L’imputato, a mezzo del suo difensore ha presentato ricorso contro la menzionata ordinanza.
Ha dedotto, con un unico motivo, la violazione dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione.
Lamenta che Il giudice dell’appello abbia condiviso le posizioni del GIP, il quale aveva rigettato la richiesta di revoca della custodia cautelare, tralasciando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il limite dei tre anni di pena detentiva previsto dall’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., ha rilievo “automatico” se, in corso di esecuzione della misura, sopravviene una sentenza di condanna a pena inferiore.
Di conseguenza, la misura non può essere mantenuta.
La motivazione del provvedimento impugnato è poi illogica ove si ritiene tale precetto recessivo rispetto alla presunzione di cui all’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., in quanto (quest’ultima) norma speciale.
A giudizio del ricorrente, infatti, il principio di diritto riportato nell’ordinanza fa riferimento all’ipotesi in cui il giudizio sull’entità della pena sia ancora prognostico, ma non può valere se sia intervenuta l’effettiva quantificazione infra-triennale della pena, come nel caso di specie. Si precisa, infine, che il titolo di reato per cui si procede non rientra nel novero dei reati ostativi che avrebbero potuto precludere il ricorso a misure diverse dalla detenzione carceraria.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso è infondato e deve essere, quindi, rigettato.
Premesso che l’imputato era stato tratto in arresto in quanto, benché sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare, si era accertato che nella sua abitazione svolgeva spaccio di cocaina, nell’ordinanza impugnata si trova precisato che il mantenimento della misura carceraria si fonda su plurime ragioni, tra cui l’assoluta inaffidabilità del prevenuto (dimostratosi incapace di rispettare le prescrizioni e il percorso connessi alla misura alternativa concessagli), la comprovata inadeguatezza di una misura di tipo domiciliare a prevenire l’elevato potenziale recidivante dell’imputato, nonché – dato cui è attribuito un rilievo dirimente – l’operatività del divieto stabilito nell’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., che preclude l’applicabilità degli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per evasione nei cinque anni precedenti al fatto per cui si procede (l’imputato aveva riportato una condanna per evasione nel 2022).
Il Tribunale ha inoltre aggiunto che, se è vero che tale norma prevede una presunzione soltanto relativa di inadeguatezza della misura domiciliare, superabile ove il giudice ravvisi la sussistenza di una duplice condizione (lieve entità del fatto e possibilità di soddisfare le esigenze cautelari con la misura domiciliare), tale duplice condizione è stata però soddisfatta dal GIP, il quale aveva appunto guardato alle modalità del fatto e alla personalità dell’imputato, oltretutto gravato da plurimi precedenti penali e carichi pendenti, considerando comprovata l’inidoneità della misura domiciliare, dal momento che l’imputato aveva eletto il domicilio in cui era ristretto a luogo per lo svolgimento indisturbato della sua attività di spaccio di droga pesante.
Tanto premesso, anche a voler aderire all’assunto del Tribunale secondo cui l’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., dispone una presunzione meramente relativa in ordine all’inidoneità di misure cautelari diverse da quella detentiva ove l’indagato sia stato condannato per evasione, deve rilevarsi che, nel provvedimento impugnato, si dà ampiamente conto – con argomentazione compiuta e non affetta da vizi logici delle ragioni relative all’inaffidabilità del ricorrente.
A monte, comunque, il suddetto assunto è revocabile in dubbio. Che, infatti, il divieto previsto da tale norma abbia un carattere assoluto è ritenuto dalla giurisprudenza pressocché pacifica della Suprema Corte (tra le altre, Sez. 2, n. 14111 del 12/03/2015, Rv. 262960; Sez. 3, n. 6633 del 07/01/2014, Rv. 258902; Sez. 4, n. 31434 del 04/07/2013, Rv. 255954; mentre, rilievo meramente indiziante è attribuito alla condanna per evasione per il caso essa sia non ancora definitiva: Sez. 3, n. 8148 del 27/01/2012, Rv. 252755).
Altrettanto indubbio è che, proprio in ragione di tale carattere assoluto, il divieto di concessione degli arresti domiciliari al condannato per evasione prevalga sulla disposizione di cui all’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., in virtù della quale la misura cautelare della custodia in carcere non può essere applicata quando il giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore a tre anni (così Sez. 2, n. 14111 del 12/03/2015, Rv. 262960; di recente, Sez. 6, n. 34107 del 15/06/2023, Rv. 285157).
L’unica questione residua sarebbe, allora, se la “inibizione” dell’operatività dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen. da parte del divieto di cui all’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen. valga soltanto quando il giudice ritenga, in base ad una valutazione ex ante, che all’esito del giudizio dovrà applicarsi una pena non superiore a tre anni (limite al di sotto del quale la prima disposizione preclude il ricorso alla cautela detentiva), oppure se tale preclusione operi parimenti quando il giudizio di merito si sia già concluso e la pena (in concreto) irrogata non abbia raggiunto la soglia legislativa, come avvenuto nel caso di specie, a seguito della derubricazione del reato di spaccio in “fatto lieve”.
Non si ravvisano ragioni per escludere, in quest’ultima tipologia di casi, la validità del riferito e pacifico orientamento, che – come ricordato – reputa speciale la disposizione sul divieto (assoluto) di concessione di misura diversa da quella detentiva al condannato per evasione: in quanto tale, prevalente sull’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen.
Infatti, la circostanza che dal piano della valutazione prognostica della gravità del fatto si sia passati a quello, meno incerto, della sua concreta (per quanto non definitiva) constatazione non incide in alcun modo sul rapporto tra fattispecie processuali.
Né in senso contrario depongono le allegazioni del ricorrente. Questi si limita ad asserire in modo invero alquanto generico la non derogabilità dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen. (di per sé, in effetti, riferibile non solo alla fase applicativa ma anche a quella in cui sia già intervenuta condanna: Sez. 5, n. 28360 del 04/06/2021, Rv. 281629; Sez. 4, n. 31430 del 17/03/2021, Rv. 281837; Sez. 5, n. 4948 del 20/01/2021, Rv. 280418), senza tematizzarne – come avrebbe dovuto – il rapporto tra tale disposizione e l’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., che prevede, anch’esso, un divieto assoluto (sebbene) di segno contrario, fondando un giudizio di inaffidabilità del destinatario della misura sulla sua pregressa condotta trasgressiva (evasione).
Principio di diritto
In conclusione, va pertanto affermato il principio di diritto per cui “la presunzione relativa di inadeguatezza degli arresti domiciliari nei confronti del condannato per evasione, prevista dall’art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., in quanto norma speciale, prevale sulla disposizione generale di cui all’art. 275, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen., non soltanto quando il giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore a tre anni, ma anche quando una pena inferiore a tale limite è già stata concretamente irrogata nel corso del giudizio”.
