Mentre la comunità giuridica è ancora attonita per l’approvazione alla Camera dell’ineffabile ddl sicurezza, il governo “garantista” annuncia l’imminente emanazione di un decreto-legge finalizzato a fronteggiare, sull’onda dei recenti fatti di cronaca, le aggressioni in danno dei medici ospedalieri, attraverso l’inasprimento delle pene, la creazione di nuove fattispecie e la possibilità di procedere all’arresto fuori dai casi di flagranza.
Dopo il DL Rave, il DL Cutro ed il DL Caivano, è ancora una volta il verificarsi di fatti illeciti a suggerire al Governo Meloni l’esigenza di un urgente intervento normativo.
Ovviamente, il Codice penale già prevede fattispecie delittuose e specifiche aggravanti che consentono alla giurisdizione di fornire una risposta sanzionatoria puntuale e proporzionata rispetto ai fatti da reprimere, in questo caso rappresentati da deprecabili aggressioni nei confronti del personale medico. Mentre tutti dovrebbero essere in grado di comprendere che per prevenire comportamenti di questo genere sarebbe semmai opportuno migliorare le strutture di pronto soccorso, rafforzandone i presidi di sicurezza ed integrando eventualmente il personale con figure professionali che siano in grado di interfacciarsi con i parenti dei pazienti, oltre ad aumentare (o ancor meglio a riorganizzare) gli organici di pubblica sicurezza.
Ma se ciò non avviene è proprio perché l’illusorio utilizzo dello strumento penale per immediate finalità di comunicazione politica consente a chi governa di sottrarsi all’analisi dei problemi da affrontare e delle loro possibili soluzioni, dando al contempo una risposta immediata alle istintive aspettative degli elettori.
E da giuristi, al di là di qualsiasi considerazione sulle ragioni politico-ideologiche che inducono ad utilizzare la sanzione penale per dare risposta all’uno o all’altro dei fenomeni sociali che sono di volta in volta oggetto di attenzione mediatica e sugli iperbolici effetti sanzionatori che ne derivano in concreto, non possiamo non rilevare come questo modo di procedere determini un profondo vulnus nel rapporto fra potere statuale e cittadini, perché finisce per “personalizzare” la risposta dell’ordinamento in base al grado di diffusione sui media dei fatti di cronaca, intaccando alle fondamenta il principio di uguaglianza.
Costruire ipotesi di reato finalizzate a tutelare specifiche categorie di soggetti o a colpirne altre, modificando fattispecie già esistenti o creandone di nuove, non consente di risolvere nessuno dei problemi (solo apparentemente) affrontati e determina al contempo una irragionevole stratificazione di precetti più o meno improvvisati che lede alla radice il patto sociale … cioè in altre parole la democrazia.
