La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 33847/2024 ha modificato un datato indirizzo giurisprudenziale che indicava il giudice amministrativo quale riferimento per le controversie inerenti all’accesso del detenuto ad atti dell’amministrazione penitenziaria.
Fatto
Con il provvedimento impugnato, adottato senza formalità di procedura, il Magistrato di sorveglianza di Novara dichiarava il non luogo a provvedere sul reclamo di A.A., in tema di accesso ad atti di alcuni procedimenti disciplinari già svoltisi a suo carico, essendo stato il detenuto trasferito, nelle more, in altro istituto di pena.
Ricorre l’interessato per cassazione, con rituale ministero difensivo, denunciando violazione di legge.
L’intervenuto trasferimento non inciderebbe, a suo dire, sull’interesse alla definizione del reclamo e sulla competenza dell’ufficio giudiziario adito, che non avrebbe neppure potuto provvedere de plano.
Il Procuratore generale requirente ha concluso per inammissibilità del ricorso, osservando che in ordine alla richiesta del detenuto, finalizzata ad ottenere l’accesso ad atti amministrativi in possesso della direzione penitenziaria, sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 6, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (CPA) e del precedente che ha stabilito che la richiesta del detenuto, finalizzata ad ottenere l’accesso agli atti amministrativi della Direzione della casa Circondariale, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e non, invece, a quella del Magistrato di sorveglianza (Sez. 1, sentenza n. 7287 del 12/12/2013 Cc. (dep. 14/02/2014) Rv. 259165 – 01).
Decisione
L’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dal Procuratore generale
Essa muove da un arresto di questa Corte (Sez. 1, n. 7287 del 12/12/2013, dep. 2014, Rv. 259165-01), il quale ha effettivamente affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, in luogo di quella della magistratura di sorveglianza, nella materia che ci riguarda (le controversie inerenti all’accesso del detenuto ad atti dell’Amministrazione penitenziaria).
La pronuncia argomenta sull’interesse sotteso all’accesso, sulla natura di diritto soggettivo della posizione tutelata e sull’espressa attribuzione della materia alla giurisdizione amministrativa.
Secondo la Suprema Corte, tale orientamento, valido al tempo in cui esso si è formato, è divenuto anacronistico alla luce dell’evoluzione successiva dell’ordinamento.
Al tempo – nonostante fosse già intervenuta la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), «nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale» (sentenza Corte cost., n. 26 del 1999, c.d. additiva di principio) – un compiuto sistema normativo, sostanziale e procedimentale, volto ad offrire protezione ai diritti, la cui violazione fosse potenziale conseguenza del regime di sottoposizione a restrizione della libertà personale, e dipendesse da atti dell’Amministrazione a tanto preposta, non era stato ancora delineato.
Il legislatore pose rimedio, approvando il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, con il quale venne inserito nella legge penitenziaria l’art. 35-bis e venne riformulato il comma 6 dell’art. 69.
Nel modello, così apprestato, il giudice di sorveglianza è divenuto il giudice specializzato a conoscere, secondo un rito ad hoc, delle posizioni giuridiche soggettive dei reclusi, in contesto di detenzione, che assumano la consistenza del diritto soggettivo (Sez. 1, n. 23533 del 07/07/2020, Rv. 279456- 01; Sez. 1, n. 54117 del 14/06/2017, Rv. 271905-01; Sez. 7, n. 38197 del 13/02/2014, Rv. 261239-01).
La scelta è caduta sulla magistratura di sorveglianza per la specifica funzione istituzionale di tale articolazione della giurisdizione, reputata come la più idonea ad effettuare le particolari valutazioni che, in un’ottica di corretta e legale gestione della pena, attengono all’operato dell’Amministrazione penitenziaria.
È così giunto a compimento il percorso di progressivo adeguamento dell’ordinamento alle esigenze, costituzionalmente rilevanti, di riconoscimento e tutela dei diritti dei detenuti: questi ultimi, da un lato, godono della tutela giurisdizionale “ordinaria” per quanto concerne i rapporti estranei all’esecuzione penale; d’altro alto, e rispetto alle posizioni giuridiche di diritto soggettivo, all’esecuzione correlate, beneficiano di una tutela di pari rilievo e valore, che passa fisiologicamente attraverso la magistratura di sorveglianza.
Se il rapporto carcerario vede dunque, nell’assetto vigente, il proprio giudice naturale nella magistratura di sorveglianza, è coerente ritenere che tale modello di giurisdizione deroghi, per più marcata specialità, alle stesse disposizioni processuali attributive in ambito comune di giurisdizione esclusiva e di settore (come è la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di accesso agli atti), quando il contesto dell’accesso è quello penitenziario.
La materia dell’accesso agli atti, e le controversie che vi attengono, presentano profili peculiari, che hanno in linea generale suggerito l’individuazione di un giudice specializzato nei rapporti tra privato e pubblica Amministrazione.
In questa stessa prospettiva, quando l’interessato è un detenuto e gli atti di cui si discute attengono alla gestione del rapporto detentivo, sono le stesse esigenze di specializzazione che rendono logico intestare la cognizione al giudice istituzionalmente chiamato a ius dicere sul rapporto stesso.
In tal senso, e con argomentazioni convergenti, è altresì attualmente orientata la giurisprudenza amministrativa (TAR Piemonte, sez. II, sentenza n. 1045/19).
Ciò premesso, il ricorso è fondato.
Il trasferimento del detenuto reclamante ad altro istituto di pena, anteriormente alla decisione del Magistrato di sorveglianza, non priva di interesse il proposto gravame di merito, salvo che quest’ultima attenga esclusivamente alla disciplina regolatoria interna all’istituto di provenienza o alla peculiare situazione di fatto ivi esistente (Sez. 7, n. 41374 del 12/07/2022), come non è a dirsi nel caso di specie.
Sotto altro aspetto, in forza del principio della perpetuatio jurisdictionis la competenza per territorio del magistrato, una volta radicatasi con riferimento alla situazione esistente all’atto dell’instaurazione del procedimento, rimane insensibile agli eventuali mutamenti che tale situazione può subire in virtù di successivi provvedimenti, e ciò anche nelle ipotesi in cui l’interessato sia con essi rimesso in libertà o trasferito ad altro penitenziario (tra le ultime, Sez. 1, n. 57954 del 19/09/2018, Rv. 275317-01).
Il provvedimento impugnato deve essere conseguentemente annullato, con rinvio al Magistrato di sorveglianza di Novara per la decisione sul reclamo, previa fissazione dell’udienza camerale di rito.
