Annullamento con rinvio: i termini di fase della custodia cautelare decorrono nuovamente, salvi i limiti complessivi indicati dall’art. 303, comma 4, c.p.p. (Vincenzo Giglio)

Secondo Cassazione penale, Sez. F, sentenza n. 32994/2024, udienza del 28 agosto 2024, in tutti i casi di annullamento con rinvio (salvo quelli di chiaro giudicato parziale, in cui si possa procedere ad esecuzione provvisoria della sentenza), la disciplina di riferimento è quella dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen.

Vicenda giudiziaria

Con sentenza del 21 febbraio 2024, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio quella della Corte di appello di Lecce del 16 dicembre 2022, che aveva confermato la condanna di M.A.M. per i reati — tra altri — di partecipazione ad associazione di tipo mafioso e ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, per i quali ella si trova tutt’ora sottoposta a custodia cautelare in carcere.

Con successive note, rese ad evasione di richieste di chiarimento formulate dal presidente della Corte territoriale investita del giudizio di rinvio, il presidente del collegio che ha emesso la sentenza rescindente ha precisato, in prima battuta, che «l’annullamento con rinvio è avvenuto anche con riferimento alla responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 416-bis, c.p. e sulla qualificazione giuridica in ordine a quello di cui all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, oltre ad altri profili quali saranno meglio precisati nella motivazione della decisione»; e quindi ha aggiunto che «l’annullamento comporta… la reviviscenza della sentenza di primo grado ed è sulla base dei titoli di reato di quella decisione che dovranno essere condotte le valutazioni riguardanti la scadenza o meno del termine di fase di cui all’art. 303, co. 2, c.p.p.».

Adita dall’interessata con istanza di declaratoria d’inefficacia della misura cautelare in atto, per l’avvenuto decorso del relativo termine di durata, la Corte d’appello procedente ha disatteso la richiesta, rilevando: a) che l’annullamento con rinvio in punto di responsabilità riguardava soltanto il delitto di cui all’art. 416- bis, cod. pen., mentre per quello di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, l’annullamento era avvenuto solo sotto il profilo della qualificazione giuridica del fatto, con conseguente conferma del giudizio di responsabilità; b) che la Corte di cassazione aveva dichiarato inammissibile nel resto il ricorso dell’imputata, dovendo perciò ritenersi che, per gli ulteriori reati in relazione ai quali la misura cautelare risultava applicata, l’affermazione di responsabilità fosse definitiva.

Avverso tale decisione l’imputata ha interposto appello a norma dell’art. 310, cod. proc. pen., sostenendo che non si fosse in presenza di un annullamento parziale, non avendo la Corte di cassazione dichiarato l’irrevocabilità di alcuna parte della sua decisione, a norma dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., e che dovesse perciò trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., stando alla quale il termine di durata della misura, pari a tre anni, era già allora decorso.

Il Tribunale dell’appello ha accolto l’impugnazione per il delitto di partecipazione all’associazione mafiosa, ma non per quello di cui al citato art. 74, rilevando che per il primo non era intervenuto il giudicato parziale sulla responsabilità, dovendo perciò trovare applicazione il termine di fase, a norma dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen.; per il secondo, invece, non essendo più in discussione l’affermazione di colpevolezza ma soltanto la qualificazione giuridica del fatto, si sarebbe dovuto fare riferimento ai diversi termini di durata complessiva della misura, stabiliti dal comma 4 del medesimo art. 303, che, nello specifico, non erano decorsi.

Ricorso per cassazione

Impugna tale decisione l’imputata, con atto del proprio difensore e procuratore speciale, contestando la correttezza giuridica dell’affermazione per cui si sarebbe in presenza di un giudicato parziale nel caso di annullamento con rinvio in punto di qualificazione giuridica del fatto di reato accertato come commesso dall’imputato.

Di conseguenza — sostiene — dovrebbe trovare applicazione la disciplina del comma 2 dell’art. 303, cit., anziché quella del successivo comma 4.

Decisione della Corte di cassazione

Premesso che, alla data della presente decisione, la motivazione della sentenza di annullamento con rinvio emessa da questa Corte non risulta depositata, deve concludersi per l’infondatezza del ricorso.

Sia il Tribunale che i difensori ricorrenti sembrano in verità incorrere nel medesimo errore giuridico: quello, cioè, di considerare alternative tra loro le disposizioni dei commi 2 e 4 dell’art. 303 del codice di rito e, come tali, destinate a disciplinare differenti ipotesi di decorrenza dei termini.

Così, però, non è.

C’è, piuttosto, che, in tutti i casi di annullamento con rinvio (salvo quelli di chiaro giudicato parziale, in cui si possa procedere ad esecuzione provvisoria della sentenza), la disciplina di riferimento è quella dell’art. 303, comma 2, cit. (come del resto ha rappresentato chiaramente in una delle sue note il presidente del collegio che ha emesso la sentenza rescindente, sebbene con un’indicazione “extra ordinem” e, come tale, di per sé non vincolante).

La disposizione dell’ultima parte del precedente comma 1, lett. d), dello stesso articolo, infatti, secondo cui, in caso di “doppia conforme” di condanna, si deve aver riguardo ai soli termini massimi stabiliti dal successivo comma 4, riguarda soltanto il grado di legittimità.

Non ha alcun rilievo, dunque, stabilire se, in presenza di un annullamento con rinvio sulla qualificazione giuridica di una data condotta, com’è avvenuto nello specifico, si versi o meno in un’ipotesi di duplice sentenza conforme di condanna, quanto meno sulla responsabilità: ne discende che la conclusione affermativa resa dal Tribunale d’appello sul punto, benché giuridicamente errata (perché il giudizio di conformità non può essere limitato alla sola affermazione di responsabilità, se resa nei due gradi di merito in relazione a due fattispecie di reato tra loro distinte), non ha alcuna rilevanza ai fini della decisione.

I termini di cui al comma 4 del citato art. 303, dunque, non essendo alternativi a quelli di cui al precedente comma 2, rappresentano soltanto il limite massimo e non superabile di durata della misura cautelare, per tutti i casi di andamento — per così dire — “non lineare” del relativo decorso: ovvero proroga, interruzione (per evasione), sospensione (con il correttivo previsto dal successivo art. 304, comma 6) o — come nel caso in rassegna — regressione del processo per annullamento con rinvio di una sentenza o per altra causa.

Nella fattispecie in esame, dunque, il termine di riferimento, per effetto del rinvio contenuto nel comma 2 dell’art. 303, è quello di cui alla lett. c), n. 3), del precedente comma 1, relativo al grado d’appello: di conseguenza, essendo stata inflitta in primo grado, per i reati in relazione ai quali è in atto la misura cautelare, una pena complessiva superiore a dieci anni di reclusione, detto termine è di un anno e sei mesi. Esso, peraltro, non decorre dalla sentenza di primo grado, bensì «di nuovo» e per intero — a norma dello stesso art. 303, comma 2 — dalla data della sentenza di annullamento con rinvio: vale a dire, nello specifico, dal 21 febbraio scorso, non essendo perciò spirato.

Resterebbe da verificare, allora, se non sia comunque decorso il termine massimo di cui al successivo comma 4 e che, a differenza del precedente, è stabilito in ragione della pena edittale prevista per il reato oggetto di contestazione e non di quella effettivamente inflitta. Tale reato, però, non può essere quello del comma 6 dell’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, come invece vorrebbe la difesa, interpretando come una statuizione implicita in tal senso l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione in punto di qualificazione giuridica della relativa condotta.

Come correttamente — quantunque informalmente — specificato dal presidente del collegio della Corte di cassazione in una delle sue note d’interlocuzione con il giudice del rinvio, «l’annullamento comporta la reviviscenza della sentenza di primo grado ed è sulla base dei titoli di reato di quella decisione che dovranno essere condotte le valutazioni riguardanti la scadenza o meno del termine di fase di cui all’art. 303, co. 2, c.p.p.», perché la relativa statuizione, finché non definitivamente annullata, rimane valida ed operante.

Ne deriva che, per quanto qui d’interesse, avendo il giudice di primo grado pronunciato condanna per i delitti di cui ai commi 1 e 2 del citato art. 74, entrambi puniti nel massimo con pena superiore a venti anni di reclusione, il termine massimo ed invalicabile di durata della misura cautelare è di sei anni dall’inizio della sua esecuzione, e anch’esso non risulta decorso, dal momento che — come si legge nell’ordinanza impugnata — tale misura è in atto dal marzo del 2019.

Il ricorso deve essere quindi respinto.