La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 35122 depositata il 19 settembre 2024 si è soffermata sul principio della non esigibilità di una condotta diversa.
Fatto
C.G. era stato tratto a giudizio per rispondere, per quanto qui rileva, del reato di cui all’art. 1161 cod. nav. perché, quale legale rappresentante della Z. Snc, aveva occupato arbitrariamente uno spazio demaniale marittimo comprendente un’isola artificiale, una spiaggia e una palazzina a tre piani adibendola a stabilimento balneare, esercizio commerciale, aperto anche dopo gli orari di chiusura dello stabilimento, e a propria abitazione.
La rubrica contesta, inoltre, innovazioni non autorizzate effettuate abbattendo un muro costituente bene demaniale marittimo.
Il Tribunale ha ritenuto la oggettiva sussistenza del reato ma ne ha escluso l’elemento soggettivo ed ha inoltre affermato l’inesigibilità del comportamento alternativo lecito.
Quanto alla inesigibilità del comportamento lecito alternativo, il Tribunale osserva che si dovrebbe ipotizzare a carico dell’autore dell’occupazione abusiva l’onere di sindacare autonomamente la legittimità del proprio titolo e riconsegnare il bene al Demanio, chiedendo l’applicazione contra se di una disciplina eurounitaria cui nemmeno il legislatore si è adeguato, a fronte – sostiene – di un contrario interesse economico alla prosecuzione del rapporto concessorio; un’eventuale rilascio dell’area, prosegue il Tribunale, avrebbe anche potuto essere valutato dalla pubblica amministrazione quale violazione degli obblighi concessori da quest’ultima ritenuti ancora in essere; non si può, in buona sostanza, imporre all’autore del reato di sostituirsi al legislatore e alla amministrazione nel rilevare la natura abusiva della propria condotta perché contrastante con il diritto europeo;
Decisione
La Suprema Corte premette che va innanzitutto ribadito che il principio della non esigibilità di una condotta diversa – sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui “umanamente” pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” dell’antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente di uniformare la condotta al precetto penale – non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultra legali di esclusione della punibilità attraverso “l’analogia juris” (Sez. 3, n. 38593 del 21/01/2018, Rv. 273833 – 01; Sez. 6, n. 973 del 02/04/1993, Rv. 194384 – 01; Sez. 3, n. 8271 del 08/05/1985, Rv. 170486 – 01; Sez. 3, n. 2613 del 02/12/2022, dep. 2023, non mass.; Sez. 3, n. 379 del 14/12/2022, dep. 2023, non mass.).
Nel caso di specie, peraltro, la tesi della inesigibilità del comportamento lecito alternativo è smentita, nei fatti, dal comportamento tenuto dall’imputato che, pur a fronte di un provvedimento giurisdizionale di restituzione del bene all’autorità amministrativa concedente, ha reagito invocandone la restituzione in suo favore e ulteriormente coltivando la pretesa dinanzi al giudice amministrativo sicché l’interrogativo che il Tribunale si è posto sulla necessità/ possibilità che l’imputato restituisse il bene ad un’autorità che pure aveva perseverato nel ritenere lecita l’occupazione demaniale ha trovato una risposta chiara ed inequivocabile nella reazione di C.G. alla restituzione del bene all’ente concedente.
