Le morti in carcere hanno tanti padri e tra questi c’è sicuramente l’incapacità dei tribunali di sorveglianza di dare risposte in tempi ragionevoli alle istanze dei detenuti.
Oggi scriviamo di una piccola storia che è l’emblema della situazione drammatica che si vive in carcere in attesa di decisioni che non arrivano.
Una detenuta affetta da disturbi psichiatrici e di tossicodipendenza, già ospite negli anni passati di una Rems, presenta una istanza di affidamento ex art. 94 Dpr 309/1990 al tribunale di sorveglianza di Roma in data 3 aprile 2024.
Lo stesso Tribunale di sorveglianza in suo provvedimento datato 28 settembre 2023 scriveva a proposito della detenuta: “L’unica soluzione extramuraria idonea è quella presso un’eventuale struttura di cura, di cui però difetta qualsiasi indicazione, nonostante le reiterate sollecitazioni in tal senso dal Magistrato di Sorveglianza all’amministrazione sanitaria e penitenziaria.
Tali sollecitazioni vanno condivise e reiterate anche in questa sede, poiché la tutela della salute della condannata giustificherebbe anzi renderebbe necessaria una tale collocazione all’interno di un progetto terapeutico”
Il progetto terapeutico auspicato e più volte “sollecitato” è indicato nell’istanza che ha in allegato il programma della comunità residenziale “Don Guerrino Rota”, l’attestazione dell’idoneità e adeguatezza dell’Asl di Rebibbia.
Il tempo trascorre e la tutela della salute della condannata attende non si comprende bene cosa: è difficile spiegarlo alla donna che alterna momenti di disperazione, sconforto a rabbia e gesti di autolesionismo.
Il 27 giugno e i primi di settembre si sollecita la decisione, coinvolgendo anche la Presidenza del Tribunale di sorveglianza di Roma, ma ad oggi tutto tace.
Sarà anche per questo che siamo arrivati a 72 suicidi?
