
L’esame del corpo del reato è una attività che mira a consentire al giudice ed alle parti la conoscenza diretta della res per valutarne caratteristiche, funzionamento e pertinenza alla condotta oggetto dell’imputazione e comunque non costituisce un incombente istruttorio.
Due recenti sentenza della sezione seconda della Cassazione rispettivamente la numero 34519/2024 e la numero 14743/2024 hanno ricordato che l’esame del corpo del reato può essere condotta in udienza alla presenza delle parti, per una verifica coram populo, o nel chiuso della camera di consiglio ai fini della deliberazione, ma è rimessa in ogni modo alla valutazione discrezionale del giudice che, in relazione alle specificità del caso concreto, può ritenerla necessaria o meno, opportuna o meno.
Nel secondo caso esaminato dalla sentenza numero 14743/2024, il giudicante ha proceduto autonomamente all’esame ed alla valutazione del corpo del reato, in camera di consiglio ha preso diretta conoscenza delle caratteristiche delle borse detenute dall’imputato, colmando la lacuna conoscitiva lamentata dalla difesa dell’imputato (sul grado della falsificazione delle borse) e formulando un proprio giudizio, trasfuso nella motivazione.
Con ciò, non si realizza alcuna violazione del principio del contraddittorio, che si pone sul piano dell’eguale trattamento delle parti dinnanzi al giudice, né il sacrificio del diritto di difesa, posto che non è mai stato impedito al difensore dell’imputato di richiedere l’accesso al corpo di reato per prenderne visione, esperire eventuali accertamenti sulla originalità e le caratteristiche del prodotto o formulare istanze.
Il fatto che il difensore non abbia ritenuto necessario esaminare il corpo del reato, limitandosi a denunciare che ciò non fosse stato fatto nel corso delle indagini e delle precedenti fasi processuali da parte dell’autorità procedente, non preclude ovviamente al giudice tale autonoma facoltà né impone che essa sia condotta coram populo, per così dire, cioè alla presenza delle parti.
Infatti, l’esame delle borse in sequestro, condotto autonomamente da parte del giudice nell’ambito della camera di consiglio, è una attività cognitiva che prescinde da (e non richiede la) assistenza delle parti, poiché si risolve nel rapporto diretto tra la cosa e l’esaminatore, in maniera del tutto analoga all’esame di altri oggetti di prova, dalla visione delle immagini registrate all’esame di documenti, che avviene ordinariamente in camera di consiglio per consentire al giudice di trarne valutazioni rilevanti ai fini della ricostruzione del fatto e della decisione del processo.
Fallace è pertanto il riferimento agli ultimi due commi dell’art.598 bis c.p.p., per il caso in cui sia lo stesso collegio a sollecitare l’oralità, ritenendo necessario, per il tenore della questione sottoposta, uno scambio ‘vivo’ sul thema decidendum, ovvero nel caso di rinnovazione istruttoria ex art. 603 c.p.p.
Con riferimento a quest’ultima ipotesi, è appena il caso di sottolineare che l’esame diretto del corpo di reato non costituisce un incombente istruttorio e non va confuso con la ricognizione di cose disciplinata dall’art. 215 c.p.p., ove il corpo di reato, ancor prima di essere oggetto di conoscenza (da parte del giudice o di un perito da questi nominato), è oggetto di identificazione (da parte di persona informata dei fatti, della persona offesa o del testimone, a seconda dei casi).

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