Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 29537/2024, udienza del 6 giugno 2024, ha analizzato i differenti effetti penali conseguenti all’omessa osservanza del decreto prefettizio che vieti il possesso di armi o che disponga la loro consegna all’autorità di pubblica sicurezza.
A mente dell’art. 39 T.U.L.P.S., «1. Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne. 2. Nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo comma, dandone immediata comunicazione al prefetto. Quando sussistono le condizioni di cui al primo comma, con il provvedimento di divieto il prefetto assegna all’interessato un termine di 150 giorni per l’eventuale cessione a terzi dei materiali di cui al medesimo comma. Nello stesso termine l’interessato comunica al prefetto l’avvenuta cessione. Il provvedimento di divieto dispone, in caso di mancata cessione, la confisca dei materiali ai sensi dell’articolo 6, quinto comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152».
Il successivo art. 40 T.U.L.P.S. prescrive che «Il prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell’autorità di pubblica sicurezza o dell’autorità militare».
Come la Suprema Corte ha già avuto modo di rilevare, il contenuto del decreto prefettizio si riflette sulla qualificazione giuridica della condotta di colui che ometta di osservarlo. Ed invero, posto che l’art. 2 della legge n. 895 del 1967 punisce «Chiunque illegalmente detiene a qualsiasi titolo le armi o parti di esse, le munizioni, gli esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati nell’articolo precedente», e che il successivo art. 3 punisce, con la stessa pena (reclusione da 1 a 8 anni, multa da € 3.000 a € 20.000), «Chiunque trasgredisce all’ordine, legalmente dato dall’autorità, di consegnare nei termini prescritti le armi o parti di esse, le munizioni, gli esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati nell’articolo 1, da lui detenuti legittimamente sino al momento della emanazione dell’ordine», diviene decisivo accertare se il decreto prefettizio del quale si discute abbia o meno impartito l’ordine di consegnare entro un determinato termine all’autorità le armi già legittimamente detenute.
Si è, invero, statuito – in relazione all’ordine, legalmente dato, di consegnare nei termini prescritti armi bianche, sanzionato dall’art. 698 cod. pen., ma si tratta, evidentemente, di principio applicabile alle armi comuni da sparo ed al reato di cui all’art. 3 della legge n. 895 del 1967 – che «Ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 698 cod. pen. [..] la mancata indicazione di un preciso termine per adempiere è irrilevante, non facendo venir meno la legalità del provvedimento impositivo dell’obbligo, ove la determinazione di siffatto termine risulti assorbita dal connotato di “immediatezza” nell’esecuzione, che l’ordine può talora rivestire in considerazione delle concrete circostanze di fatto che ne hanno giustificato l’adozione. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto che le pregnanti ragioni di pericolo per l’incolumità individuale e per l’ordine pubblico poste a fondamento del provvedimento impositivo dell’obbligo, emesso a seguito di una denuncia in cui erano state prospettate le ipotesi delittuose di detenzione illegale di armi e di minaccia grave, postulavano inequivocamente l’urgenza e l’indilazionabilità – e quindi l’immediatezza – della sua esecuzione)» (Sez. 1, n. 1418 del 12/01/1998, Rv. 209887 – 01).
Nelle motivazioni della sentenza appena citata, è stato chiarito che «Il reato di omessa consegna di armi in violazione del legittimo ordine della competente autorità costituisce un’ipotesi speciale di inosservanza del provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di ordine pubblico di cui all’art. 650 c.p. La condotta dolosa di omessa consegna, avente ad oggetto armi da guerra o comuni da sparo, loro parti, munizioni da guerra ed esplosivi, integra gli estremi del delitto previsto dall’art. 3 I. 895/67 – sost. dall’art. 11 I. 497/74 – in combinato disposto dell’art. 7 quando si tratti di armi comuni da sparo. L’ipotesi dolosa di trasgressione dell’ordine legalmente dato dall’autorità di consegnare le armi non da sparo o “bianche” – ossia quelle proprie la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona – e le munizioni per armi comuni da sparo, ovvero le materie esplodenti non costituenti anche esplosivo, integra a sua volta gli estremi delle contravvenzioni previste, rispettivamente, dagli artt. 698 e 679, comma 3, c.p., le quali sussistono altresì ogni qualvolta l’omessa consegna sia di natura colposa anziché dolosa»; si è, altresì, evidenziato che «la struttura della fattispecie criminosa è sostanzialmente identica consistendo essa, per tutte e tre le ipotesi normative sopra considerate sia codicistiche che di legge speciale, nella trasgressione “all’ordine legalmente dato dall’Autorità di consegnare nei termini prescritti” le armi, le munizioni, gli esplosivi o le materie esplodenti, legittimamente detenuti sino all’emanazione dell’ordine. Quest’ultimo, ai sensi degli artt. 40 T.U.L.P.S. e 60 del relativo regolamento, è di competenza del prefetto, è dato “per ragioni di ordine pubblico”, può essere individuale o generale e deve contenere l’indicazione dei termini, delle modalità e del luogo della consegna. Il reato, in ciascuna delle tre fattispecie suindicate, si configura pertanto come “omissivo proprio” e “permanente”, perfezionandosi esso al momento in cui scade inutilmente il termine prescritto per la consegna e perdurando per tutto il tempo dell’inottemperanza al relativo ordine, con la conseguenza che la consegna tardiva produce solo la cessazione della permanenza senza elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato (Cass. 27.3.1963, Rodella)».
Dunque, come si è osservato ragionevolmente nella predetta decisione, «Presupposto della condotta omissiva penalmente rilevante – elemento normativo della fattispecie incriminatrice – (è) la “legalità” del provvedimento impositivo dell’obbligo di consegna delle armi, comunicato all’interessato unitamente a tutte le indicazioni prescritte per la compiuta ottemperanza del medesimo – termini, luogo e modalità di consegna -, in assenza delle quali non è per contro configurabile un valido ed efficace esercizio dello specifico potere d’intervento dell’autorità per prevenire abusi delle armi e non sembra conseguentemente ragionevole sanzionarne l’inosservanza da parte dal privato cittadino».
Ebbene, nella fattispecie esaminata dalla sentenza n. 1418/1998, pur non essendo stato indicato nel decreto alcun termine per l’adempimento dell’ordine di consegna delle armi, si ritenne sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato di omessa consegna, la circostanza che ne fosse espressamente prescritta una esecuzione «immediata», a cagione delle «pregnanti ragioni di pericolo per l’incolumità individuale e per l’ordine pubblico» che ne avevano giustificato l’adozione, ragioni che «postulavano inequivocamente l’urgenza e l’indilazionabilità – ergo l’immediatezza – della sua esecuzione da parte degli organi di polizia all’uopo incaricati».
Sulla base di queste premesse si può formulare il seguente principio di diritto:
“In tema di reati concernenti le armi, commette il delitto di cui all’art. 2 legge 2 ottobre 1967, n. 895 il soggetto che detenga un’arma dopo che il prefetto, ai sensi dell’art. 39 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, gli abbia fatto divieto di possederne, mentre commette il delitto di cui all’art. 3 della stessa legge il soggetto che non ottemperi al decreto con il quale il prefetto gli abbia imposto, ai sensi dell’art. 40 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di consegnare all’autorità di pubblica sicurezza armi, munizioni e materie esplodenti da lui detenute, indicando nel dettaglio termini, luogo e modalità della consegna”.
