Richiesta di messa alla prova: non è subordinata all’integrale risarcimento del danno (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 23934/2024 si è occupata dei criteri di valutazione del giudice in ordine alla adeguatezza del programma di messa alla prova e della previsione di risarcimento del danno “ove possibile”.

La Suprema Corte ha stabilito che in tema di sospensione del processo con messa alla prova, il giudizio sull’adeguatezza del programma dev’essere effettuato alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, cod. pen., tenendo conto non solo dell’idoneità a favorire il reinserimento sociale dell’imputato, ma anche dell’effettiva corrispondenza alle sue condizioni di vita, attesa la previsione di un risarcimento del danno che, ove possibile, corrisponda al pregiudizio dal predetto recato alla vittima o sia, comunque, espressione del massimo sforzo sostenibile in base alle sue condizioni economiche, verificabili dal giudice ai sensi dell’art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen., sicché è illegittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al beneficio per la ritenuta assenza di prova del risarcimento integrale del danno.

Fatto

I giudici di appello hanno respinto il primo motivo di appello con cui il difensore chiedeva la sospensione del procedimento con messa alla prova in accoglimento dell’impugnazione dell’ordinanza predibattimentale di rigetto, ritenendo che non fosse ravvisabile l’intento dell’imputato di porre in essere condotte riparative, che egli non avesse manifestato la propria disponibilità a risarcire il danno cagionato ed, infine, per essersi limitato a versare all’Agenzia delle Entrate una somma palesemente sproporzionata per difetto rispetto all’entità dell’imposta evasa.

Decisione

Ritiene la Cassazione la erroneità in diritto dell’affermazione operata dalla Corte di merito e la inadeguatezza motivazionale della sentenza in tal modo redatta.

Il Tribunale, confortato in tale impostazione dalla Corte di appello, ha valorizzato, come fattore ostativo all’ammissione al beneficio, il fatto che l’istanza del C. non fosse accompagnata da una manifestazione di disponibilità dell’imputato a risarcire completamente il danno cagionato all’Erario.

Secondo la cassazione, in tal modo, i giudici del merito hanno, in sostanza, subordinato la possibilità di essere ammessi al citato beneficio all’avvenuto risarcimento del danno cagionato per effetto del reato contestato.

Tale impostazione, di tipo meccanicisticamente retributivo, è priva di fondamento normativo e razionale, come già affermato in un precedente di legittimità (Sez. 3, n. 26046 del 05/04/2002, non massimato).

Sul punto, fra le condizioni necessarie ai fini della ammissione alla messa alla prova, il risarcimento del danno cagionato dal reato è indicato solamente con la espressione “ove possibile“, evidenziandosi, con tale espressione non la inammissibilità della istanza laddove, per fattori diversi, ivi compresa la incapienza dell’istante rispetto alla entità del danno cagionato, il risarcimento non sia concretamente praticabile, ma, al contrario, pur essendo auspicabile tale risarcimento, la sua non assunzione a livello di condizione ostativa ove non realizzabile.

In tale senso, infatti, si è espressa anche la giurisprudenza della Suprema Corte, laddove ha chiarito che la valutazione dell’adeguatezza del programma presentato dall’imputato (attività questa che nel caso in esame non risulta che né il Tribunale né la Corte territoriale abbiano in alcun modo compiuto, avendo pregiudizialmente esaminato il profilo della disponibilità al risarcimento del danno) va operata sulla base degli elementi evocati dall’art. 133 cod. pen., in relazione non soltanto all’idoneità a favorire il reinserimento sociale del prevenuto, ma anche all’effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione – in un’ottica che non sia esclusivamente retributiva ma tenda a favorire la riabilitazione, bonis operibus, del prevenuto – della sua disponibilità ad assicurare la prestazione, ai fini ripristinatori, dello sforzo massimo da lui sostenibile alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019, Rv. 277070 – 01).

Non avendo i giudici del merito compiuto una siffatta verifica e ritenendo, pertanto, la cassazione che la decisione impugnata si presenti viziata sia sotto il profilo della completezza motivazionale sia sotto quello della violazione di legge, avendo la Corte di appello valorizzato, onde confermare la sentenza di fronte ad essa impugnata, profili legislativamente non rilevanti ai fini della accoglibilità o meno della istanza di messa alla prova a suo tempo presentata.