Spaccio di lieve entità e preclusione della messa alla prova: la questione arriva alla Consulta (Riccardo Radi)

Si segnala che con ordinanza del 24 maggio 2024 il Tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di MC ha sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine alla preclusione della sospensione del procedimento con messa alla prova per i delitti di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope).

Il testo dell’ordinanza del Tribunale di Padova è consultabile a questo link

Il Tribunale di Padova ha premesso che l’istituto della messa alla prova prevede la possibilità per l’imputato di ottenere l’estinzione del reato, ponendo in essere condotte finalizzate all’eliminazione delle conseguenze del reato, risarcendo il danno ed effettuando lavori di pubblica utilità.

La messa alla prova dell’imputato puo’ essere concessa solo ove il giudice ritenga possibile formulare una prognosi favorevole circa la futura astensione da parte dell’imputato dalla commissione di ulteriori reati e ancor prima non vi siano elementi per una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale (art. 464-quater, comma 3 del codice di procedura penale).

Trattandosi nel caso di   specie   di   giudizio   conseguente all’arresto in flagranza – arresto che è stato convalidato, in quanto sono stati ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’arrestato come emergenti dal verbale di arresto e dagli atti allegati allo stesso -, una prima condizione è soddisfatta, non essendovi elementi che consentano   di   ritenere   infondata   la contestazione del p.m.   o   che   comportino   una   sentenza   di proscioglimento per improcedibilità dell’azione o di estinzione del reato.

Quanto  all’ulteriore  condizione,  ovvero  che   sia   possibile formulare un  giudizio prognostico  nel  senso  che  l’imputato  non commetterà altri  reati,   si   osserva che   quella   contestata all’imputato costituisce la prima violazione dei precetti penali, non essendo egli mai stato  ne’  segnalato  né  indagato  ne’  tantomeno condannato per altri  reati,  inoltre,  la  sua  giovane  età  e  il contegno serbato in udienza di convalida dell’arresto –  in  sede  di interrogatorio, ha confessato il  fatto  e manifestato  non  solo  a parole ma anche piangendo il proprio  rammarico  e  il pentimento  – consentono  ancor  più  di  ritenere  improbabile   che   l’imputato commetterà altri fatti delittuosi.

Anche tale presupposto, dunque, puo’ dirsi sussistente nel caso di specie.

La recente modifica intervenuta sul quinto comma dell’art.  73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (di cui  all’art. 4, comma terzo, decreto-legge 20 marzo 2023, n. 123, convertito dalla legge 13 novembre 2023, n. 159), che ha innalzato il  limite  massimo di pena previsto per detta ipotesi delittuosa – portandolo da quattro anni di reclusione a cinque anni -, tuttavia, impedisce  all’imputato di accedere all’istituto della messa alla  prova,  in  quanto  l’art. 168-bis del codice penale lo consente per  i  soli  reati  punti  con «pena edittale detentiva non superiore nel massimo  a  quattro  anni, sola, congiunta o alternativa alla pena  pecuniaria»  oppure  «per  i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 del  codice  di  procedura penale» ovvero per i delitti per i quali  e’  prevista  la  citazione diretta a giudizio da parte del p.m.

Ebbene, l’innalzamento del massimo edittale previsto per la violazione dell’art. 73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 ha comportato la conseguenza che il delitto de quo è sfuggito all’ambito di applicazione dell’istituto della messa alla prova …

Per questi motivi, il tribunale, visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 seguenti, legge 11 marzo 1953, n. 87, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 168 -bis del Codice penale, 550 del codice di procedura penale e 73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, per violazione degli articoli 3 e 27, comma terzo della Costituzione e disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con sospensione del giudizio in corso.