Giustizia riparativa: impugnabilità dell’ordinanza di diniego dell’invio dell’imputato ai programmi ex art. 129-bis cod. proc. pen. (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 33152/2024 ha esaminato la questione dell’ammissibilità di impugnazioni proposte avverso i provvedimenti di diniego dell’invio dell’imputato ai programmi di giustizia riparativa ex art. 129-bis cod. proc. pen.

La Suprema Corte premette che nel ricorso si contesta la violazione del diritto di difesa deducendo l’illegittimità del provvedimento di diniego dell’invio dell’imputato ai programmi di giustizia riparativa ex art. 129-bis cod. proc. pen., in quanto fondato su un asserito concreto pericolo per un interessato nemmeno individuabile, rilevante ai fini della decisione del processo per le pregiudizievoli conseguenze sotto il profilo del trattamento sanzionatorio.

La questione dell’ammissibilità di impugnazioni proposte avverso i provvedimenti di diniego dell’invio dell’imputato ai programmi di giustizia riparativa ex art. 129-bis cod. proc. pen. è stata già esaminata in sede di legittimità. In particolare, una decisione ha escluso l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il giudice nega al richiedente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129-bis cod. proc. pen., non avendo lo stesso natura giurisdizionale (Sez. 2, n. 6595 del 12/12/2023, dep. 2024, Rv. 285930 – 01).

La decisione appena citata ha avuto ad oggetto un’ordinanza emessa dopo la pronuncia della sentenza di condanna, ed è stata motivata sulla base di una pluralità di argomenti.

In primo luogo, si è richiamato il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, di cui all’art. 568, comma 1, cod. proc. pen.

In secondo luogo, si è osservato che i provvedimenti di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa non sono riconducibili alle sentenze o ai provvedimenti sulla libertà personale, per i quali l’art. 111, settimo comma, Cost. prevede l’ammissibilità del ricorso per cassazione.

In terzo luogo, si è escluso che la mancata previsione dell’impugnabilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa dia luogo ad una illegittimità costituzionale.

In particolare, a fondamento di tale conclusione, si è evidenziato che il procedimento riparativo non è un procedimento giurisdizionale, ma un servizio pubblico di cura relazionale tra persone, non è parte del procedimento penale ed è retto da principi differenti rispetto a quelli regolativi di quest’ultimo.

Tutto questo principalmente perché l’accesso ai programmi di giustizia riparativa, da un lato, non può avere alcun effetto sfavorevole per l’accusato nel giudizio penale, e, dall’altro, non richiede  nemmeno l’esistenza di un procedimento penale in corso, perché è possibile ricorrervi anche dopo l’esecuzione della pena (art. 44, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2022), ovvero, nel caso di reati perseguibili a querela di parte, anche prima della proposizione della querela (art. 44, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2022).

La cassazione nella decisione esaminata ritiene che occorre distinguere e approfondire la questione sollevata.

Innanzitutto, deve escludersi l’autonoma impugnabilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa.

Questa conclusione si impone in considerazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all’art. 568, comma 1, cod. proc. pen., dell’assenza di qualunque previsione relativa alla proponibilità di impugnazione dell’ordinanza in questione, e della estraneità della stessa alle categorie di provvedimenti (sentenze e provvedimenti sulla libertà personale) che sono ricorribili per cassazione a norma dell’art. 111, settimo comma, Cost.

Nel caso di provvedimento di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa emesso nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento, la questione della sua impugnabilità deve essere esaminata alla luce della disciplina di cui all’art. 586 cod. proc. pen.

Precisamente, a norma dell’art. 586 cod. proc. pen., l’impugnazione delle ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento, e diverse da quelle in materia di libertà personale, può essere proposta (solo) unitamente all’impugnazione contro la sentenza, salvo diversa disposizione di legge.

E il provvedimento sulla richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, per un verso, quando è emesso del giudice che procede, è adottato nelle forme dell’«ordinanza», come esplicitamente indicato dall’art. 129-bis, comma 3, cod. proc. pen., e, sotto altro aspetto, non è autonomamente impugnabile, stante l’assenza di qualunque previsione in proposito.

Ciò posto, è utile precisare che la regola dell’impugnazione differita dell’ordinanza emessa nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento, implica la necessità di una influenza giuridicamente rilevante delle sue determinazioni sul contenuto della successiva sentenza.

Come osserva la generalità della dottrina, infatti, la regola dell’impugnazione differita di cui all’art. 586 cod. proc. pen. impone di attendere l’esito del processo per consentire di accertare se, e in quale misura, le decisioni nelle quali le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento si concretizzano abbiano potuto incidere sulla decisione finale.

Va poi rilevato che la decisione del giudice che procede di accogliere o rigettare la richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, salvo in un’unica ipotesi specificamente prevista, non può ritenersi abbia una incidenza giuridicamente rilevante sulla decisione finale, perché esplica un’influenza sulla decisione di merito meramente eventuale e quale elemento di una fattispecie  (molto) più complessa, integrata solo al verificarsi di ulteriori fatti del tutto estranei ed indipendenti dal procedimento penale e dal suo svolgimento.

Invero, dal sistema normativo, e, in particolare, dall’art. 129-bis cod. proc. pen., si evince la reciproca e completa autonomia del procedimento riparativo e di quello penale, dopo l’esercizio dell’azione penale, salvo che il procedimento abbia ad oggetto reati perseguibili a querela soggetta a remissione.

Dopo l’esercizio dell’azione penale, infatti, la legge prevede che il giudice «può disporre con ordinanza la sospensione del processo» al fine di consentire lo svolgimento del programma di giustizia riparativa, tra l’altro «per un periodo non superiore a centottanta giorni», per il solo caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione, e in presenza di richiesta dell’imputato (art. 129-bis, comma 4, cod. proc. pen.).

Di conseguenza, in tutti gli altri casi, deve concludersi che l’invio degli interessati al Centro per la giustizia riparativa di riferimento per l’avvio di un pertinente programma non può determinare la sospensione del processo.

In primo luogo, infatti, una interpretazione analogica dell’art. 129-bis, comma 4, cod. proc. pen. si porrebbe in contrasto con il principio generale della eccezionalità dei casi di sospensione del processo, desumibile, in particolare, dall’art. 50, comma 3, cod. proc. pen., a sua volta del tutto omogeneo con il canone costituzionale della ragionevole durata del processo assicurata dalla legge. In secondo luogo, l’assoluta autonomia del corso del processo penale rispetto ai tempi per lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa è pienamente coerente con le regole relative alla assoluta variabilità della durata di questi ultimi, ancorata esclusivamente «alle necessità del caso», e alla piena discrezionalità in proposito dei mediatori, come si evince, in particolare, dall’art. 55, commi 2 e 4, d.lgs. n. 150 del 2022.

Né il semplice avvio di un programma di giustizia riparativa esplica effetti sul trattamento sanzionatorio: invero, la legge attribuisce rilievo solo all’«esito riparativo», tanto «ai fini di cui all’articolo 133 del codice penale» (cfr. art. 58 d.lgs. n. 150 del 2022), quanto ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 6, cod. pen.

Da quanto indicato, allora, appare ragionevole concludere che l’ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa può ritenersi giuridicamente influente sull’esito del processo, e quindi impugnabile unitamente alla sentenza, nel solo caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione, e se la richiesta sia stata presentata dall’imputato.

Solo in tale ipotesi, infatti, è previsto che il giudice possa disporre la sospensione del processo «al fine di consentire lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa».

Negli altri casi, invece, ritenere che l’ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa possa influire, in modo giuridicamente apprezzabile, sull’esito del processo significherebbe introdurre, di fatto, un obbligo di sospensione del processo penale non previsto dall’art. 129-bis cod. proc. pen. dal d.lgs. n. 150 del 2022 o da altre specifiche disposizioni di legge, e in contrasto con il principio generale della eccezionalità dei casi di sospensione del processo, fissato, in particolare, dall’art. 50, comma 3, cod. proc. pen.

Le conclusioni indicate non escludono per gli interessati la possibilità di chiedere nuovamente al giudice, dopo un provvedimento di rigetto, l’invio al Centro per la giustizia riparativa per l’avvio di un pertinente programma. In questo senso, infatti, depongono sia la forma prevista per le decisioni del giudice sulle richieste di accesso ai programmi di giustizia riparativa, quella dell’ordinanza, ossia un provvedimento generalmente revocabile, sia il riconoscimento di un’amplissima possibilità di formulare tali richieste nel corso di tutto il giudizio e persino in pendenza di ricorso per cassazione, come espressamente prevede l’art. 45-ter disp. att. cod. proc. pen.

Sulla base delle considerazioni precedentemente esposte, quindi, nella specie, l’impugnazione dell’ordinanza di diniego dell’invio dell’imputato ai programmi di giustizia riparativa è stata proposta fuori dei casi consentiti.

Il rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, infatti, formulata nell’unica udienza dei giudizio di appello, non era idonea ad avere alcuna incidenza giuridicamente apprezzabile sulla decisione finale della Corte di merito.

La stessa, infatti, non si riferiva ad un reato perseguibile a querela soggetta a remissione e, perciò, un suo eventuale accoglimento non avrebbe comunque comportato un potere-dovere del giudice di valutare se disporre la sospensione del processo.