Appello cautelare: la riforma sfavorevole all’indagato impone una motivazione rafforzata? Forse sì, forse no (Vincenzo Giglio)

Afferma Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 47361/2022, udienza del 9 novembre 2022, che, in tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, tale da superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice (Sez. 1, n. 16029 del 27/01/2016, Rv. 266622).

Già in precedenza, si era ritenuto che, quando il giudice del riesame ritenga di modificare la decisione del primo giudice, può evitare di analizzare le ragioni poste a fondamento dell’originaria pronuncia e specificare quelle che inducono invece ad un diverso giudizio, a condizione che la decisione di riforma sia sorretta da un’adeguata, completa e convincente motivazione, dando di per sé ragione, con caratteri di assoluta decisività, della diversa scelta operata e della prevalenza attribuita ad elementi prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, n. 9478 del 10/11/2009, dep. 2010, Rv. 246401).

L’obbligo di motivazione rafforzata è stato ribadito anche successivamente, onerando il tribunale dell’appello cautelare di confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e con quelle della difesa, giustificando adeguatamente il diverso rilievo attribuito ai dati acquisiti (Sez. 6, n. 17581 del 08/02/2017, Rv. 269827). Sorreggono questo principio l’applicazione delle regole generali in tema di appello, già stabilite dalle Sezioni unite, Mannino (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), ma soprattutto il concetto di gravità indiziaria: se per “gravi indizi di colpevolezza”, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e, tuttavia, consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, per mezzo della futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. 3, n. 17527 del 11/01/2019, Rv. 275699); se, quindi, è lo stesso codice ad indicare un rapporto tra la valutazione in materia di libertà e il prevedibile esito finale del giudizio, la opposta valutazione di un diverso giudice circa la sussistenza della gravità indiziaria fornita dal complessivo materiale probatorio (che non è stato modificato) non può essere considerato un dato irrilevante esclusivamente in ragione della prevalenza della decisione del giudice dell’appello.

In effetti, l’esistenza di una duplice opposta valutazione da parte di due giudici del materiale probatorio — soprattutto se è presumibilmente destinato a rimanere inalterato in sede dibattimentale — fa intravedere la possibilità concreta che il giudice del dibattimento – quello di primo grado o quello di appello ovvero entrambi – ritenga insufficienti le prove proposte per affermare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Senza affatto volere affermare la diretta applicabilità alla fase cautelare del principio stabilito dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., pare evidente che la qualificata probabilità di una sentenza di condanna richieda una sconfessione attenta e puntuale da parte del tribunale dei dubbi manifestati dal giudice per le indagini preliminari, con un’argomentazione che convinca della loro infondatezza, erroneità o illogicità.

È noto che alcune pronunce di legittimità hanno sostenuto, al contrario, che, in sede di appello del pubblico ministero avverso il rigetto della richiesta di misura cautelare, la riforma sfavorevole all’indagato del provvedimento del giudice per le indagini preliminari non impone una motivazione rafforzata in quanto è sufficiente che il giudice d’appello cautelare compia una valutazione totale, autonoma e completa degli elementi addotti dalle parti nel contraddittorio pieno, confrontandosi con gli argomenti che fondano la decisione impugnata, in quanto, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, non è necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice (Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, Rv. 279593; Sez. 6, n. 44713 del 28/03/2019, Rv. 278335), ma esse confermano che ogni divergente valutazione adottata dal tribunale deve comunque essere dotata di maggiore persuasività e credibilità razionale rispetto a quella riformata.

Tuttavia, una decisione più recente, precisamente Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 32046/2024, udienza del 25 giugno 2024, si premura di ricordare che sull’onere di motivazione rafforzata dell’ordinanza emessa dal tribunale dell’appello cautelare, in caso di ribaltamento della decisione di rigetto della richiesta cautelare, esistono difformi indirizzi nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo un primo indirizzo, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata (così, da ultimo, Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, Rv. 283784, in cui, in motivazione, si è precisato che, pur non essendo necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della decisione riformata, ogni divergente valutazione adottata dal tribunale deve essere comunque dotata di maggiore persuasività e credibilità razionale).

Altro indirizzo ha, invece, ritenuto che, in caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame in funzione di giudice dell’appello “de libertate“, della precedente decisione del primo giudice reiettiva della domanda cautelare, non è richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso “standard cognitivo” che governa il procedimento incidentale, ma è necessario un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale (così, da ultimo, Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Rv. 284982 – 04).

Uno dei tanti casi di conflitti irrisolti in seno alla Suprema Corte.