La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 33287/2024 ha ricordato che per dirimere i casi di concorso apparente di norme l’unico criterio idoneo è il principio di specialità ex art. 15 cod. pen.
Rileva la Suprema Corte che il provvedimento impugnato non fa buon governo dei principi che regolano il concorso apparente di norme.
Ed infatti, come noto, esso viene solitamente risolto in dottrina alla luce del criterio di «specialità» e, talvolta, secondo quello della «sussidiarietà» o della «consunzione».
La giurisprudenza di legittimità, al contrario, è consolidata nel rilevare che l’unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art. 15 cod. pen. (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302).
In tale ipotesi si verifica, a fronte di un unico fatto di reato, una «tipicità plurima», che però è solo apparente, perché solo una sarà la norma che provvederà alla concreta qualificazione e sanzione del fatto stesso.
Tale duplice tipicità potrà essere «originaria» o «sopravvenuta», a seconda se la coesistenza tra le due norme incriminatrici si verifichi ab initio o solo in un momento successivo.
Nel caso in esame, tra i reati di discarica abusiva e abbandono incontrollato di rifiuti si verifica un fenomeno di duplice tipicità (apparente) sopravvenuta, quando una iniziale condotta di abbandono di rifiuti prosegue nel tempo in forme quantitativamente più importanti, progredendo verso la discarica abusiva.
Entrambi i reati hanno infatti in comune la dismissione di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, ma il criterio discretivo è stato rinvenuto principalmente nelle «dimensioni dell’area occupata», nella «quantità dei rifiuti depositati» (Sez. 3, n. 19864 del 07/04/2022; Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Rv. 276009 – 01, in motivazione).
Più recentemente, questa la cassazione ha evidenziato (Sez. 3, n. 686 del 14/12/2023, dep. 2024) che la discarica abusiva si connota per le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: l’accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un’area determinata; l’eterogeneità dell’ammasso dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.
Pertanto, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso di plurimi conferimenti – o, pur quando consiste in un’unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco, nel reato di abbandono differisce la condotta è «meramente occasionale», ciò essendo desumibile dall’unicità ed estemporaneità della condotta medesima, che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive, e dalla quantità dei rifiuti abbandonati (Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, Rv. 269914).
In altre parole, se ai fini della configurabilità del reato di discarica abusiva è irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Rv. 273918 – 01), ove tali attività siano presenti, pur in presenza di condotte occasionali sarà configurabile il reato di cui all’articolo 256, comma 3, d. lgs. 152/2006.
L’abbandono di rifiuti è quindi configurabile solo nel caso di condotta estemporanea e meramente occasionale e, anche in tale ipotesi, solo laddove la condotta abbia ad oggetto quantitativi modesti, aree non estese e non implichi attività di gestione dei rifiuti o ad esse prodromiche.
In tutti gli altri casi sarà configurabile il reato di discarica abusiva.
Si è pertanto in presenza di un caso di «progressione criminosa» (che si configura quando la progressione determina la modificazione del titolo del reato e consiste non solo nella intensificazione della medesima attività, ma determini il trapasso a diversa fattispecie più grave, per quanto connessa, implicante la prima; v. sul punto Sez. 4, n. 48528 del 25/10/2023, n.m.; Sez. 5, n. 18667 del 03/02/2021, Rv. 281250; Sez. 1, n. 16209 del 1978, Rv. 140675) che può essere risolto sulla base del principio di specialità, nel senso che il reato di discarica, in quanto più grave, «contiene» quello meno grave di abbandono di rifiuti.
Non a caso, nell’ipotesi in esame, si chiarisce che la sentenza di primo grado ha qualificato i fatti di cui al capo A) «come realizzazione e gestione di una discarica non autorizzata ex articolo 256, comma 3, d.lgs. 152/2006, in continuazione con raccolte non autorizzate di rifiuti, sia pericolose che non pericolose, ex articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006» e riconosciuto «l’assorbimento nei reati di cui al capo A) delle contestazioni ai sensi dell’articolo 256, comma 2, in relazione al comma 1, lettera a), d. lgs. 152/2006, di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti da parte di titolare di impresa di cui al capo G), nonché di trasporto non autorizzato di rifiuti di cui al capo C)».
All’assorbimento, delle condotte di trasporto abusivo e abbandono o deposito incontrollato, avrebbe dovuto far seguito l’applicazione del solo regime sanzionatorio, e prescrizionale, del reato assorbente.
Pertanto, erroneamente (e benevolmente) la Corte di appello ha proceduto a rideterminare la pena dichiarando la prescrizione di parte delle condotte che, per effetto della riqualificazione operata dalla prima sentenza, avevano cessato di esistere in quanto tali (per effetto della applicazione delle norme sul concorso apparente di norme coesistenti) ed erano confluite (già nella sentenza di primo grado) nel solo reato di discarica abusiva, unico da considerare anche ai fini prescrizionali.
Pertanto, la doglianza si rivolge ad un capo di sentenza che ha applicato una indebita (e benevola) riduzione del trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado ed è di conseguenza inammissibile per difetto di interesse.
