Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 24356/2024, udienza del 16 febbraio 2024, ha chiarito i limiti cui è sottoposta la facoltà dell’imputato di rendere spontanee dichiarazioni.
Ricorso per cassazione
GDS, a mezzo del suo difensore, ha fatto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte territoriale che ha confermato la decisione di condanna a suo carico emessa dal giudice di primo grado.
Tra i vari motivi ha dedotto quello di violazione di legge e vizio di motivazione per inosservanza dell’art. 494, cod. proc. pen., in quanto il giudice di primo grado non gli avrebbe consentito di rendere spontanee dichiarazioni subito dopo l’escussione della persona offesa.
Decisione della Corte di cassazione
L’art. 494, comma 1, cod. proc. pen., riconosce espressamente all’imputato la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruttoria dibattimentale.
Le spontanee dichiarazioni costituiscono in linea di principio uno strumento di autodifesa dell’imputato, oggetto di una facoltà non assoluta, ma sottoposta ai limiti indicati dallo stesso art. 494, comma 1, ovvero dall’art. 523, comma 6, cod. proc. pen.
A tale ultimo riguardo costante appare l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la facoltà dell’imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché riferite all’oggetto dell’imputazione, va coordinata con la previsione del comma sesto dell’art. 523, cod. proc. pen., in base al quale l’interruzione della discussione può essere giustificata solo dall’assoluta necessità di assunzione di nuove prove, talché, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell’imputato a nuove prove, deve escludersi la facoltà del predetto di rendere tali dichiarazioni, fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 16677 del 02/03/2021, Rv. 281649; Sez. 5, n. 12603 del 02/02/2017, Rv. 269518).
Con riguardo al secondo limite individuato dall’art. 494, comma 1, cod. proc. pen., non appare revocabile in dubbio che da esso sia ricavabile, per via interpretativa, il principio secondo cui spetta al giudice stabilire quale sia il momento più opportuno per l’esercizio della facoltà di cui si discute, qualora l’imputato ne abbia fatto richiesta.
D’altro canto, come è stato affermato in un’altra pronuncia, la decisione del giudice di primo grado di impedire all’imputato, in sede di giudizio abbreviato, di rendere dichiarazioni spontanee prima dell’inizio della discussione, determina una nullità, sebbene di ordine di ordine relativo, derivante dalla violazione di un diritto espressamente riconosciuto all’imputato dall’art. 494, c.p.p., pur non riguardando tale violazione una disposizione concernente l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. (cfr. Sez. 1, n. 50430 del 25/09/2018, Rv. 274515).
Nel caso in esame nessuna violazione di legge è addebitabile al giudice di primo grado, che, come si evince dalla lettura degli atti processuali, consentita in questa sede, essendo stato dedotto un error in procedendo, non ha affatto rigettato la richiesta dell’imputato di rendere spontanee dichiarazioni, ma ne ha semplicemente differito l’assunzione all’udienza del 4 luglio 2019, nella quale si sarebbe dovuto procedere all’esame dell’imputato, immediatamente successiva a quella del 2 maggio 2029 in cui la richiesta era stata formulata, una volta conclusa l’escussione della persona offesa. Tuttavia, come rilevava la corte territoriale, “a seguito di due rinvii determinati dalla dichiarazione di astensione degli avvocati e mutata, nelle more, la persona fisica del giudicante, all’udienza del 10 gennaio 2020 la difesa eccepiva la nullità del procedimento per violazione dell’art. 494, cod. proc. pen., essendo stata preclusa all’imputato la facoltà di rendere dichiarazioni all’udienza precedente. Il primo giudice decideva, dunque, di rinviare il procedimento per consentire all’imputato di rendere dichiarazioni spontanee e per la discussione. All’udienza del 7 febbraio 2020 il difensore reiterava l’eccezione di nullità e il giudice di prime cure con ordinanza respingeva tale eccezione affermando che l’imputato, pur essendo stato messo nelle condizioni di avvalersi della facoltà di rendere le dichiarazioni, non le aveva rese non presenziando alle udienze fissate a tale scopo.
Ebbene, premesso che l’esercizio della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento spetta esclusivamente ed in via personale all’imputato che sia fisicamente presente all’udienza (cfr. Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Rv. 256575), la scelta del prevenuto di rinunziare a essere presente alle udienze fissate per consentirgli di rendere le suddette dichiarazioni, senza, peraltro, addurre alcun legittimo impedimento che giustificasse tale assenza, non può che interpretarsi come rinuncia, da parte dell’imputato, ad avvalersi della facoltà di cui si discute, escludendo in radice la sussistenza della dedotta violazione di legge, in quanto il giudice procedente, lungi dall’impedire all’imputato di rendere spontanee dichiarazioni, si è adoperato al fine di consentirgli l’esercizio di tale facoltà.
