Premessa
Suicidio: qui da noi una parola dalla connotazione decisamente negativa.
Peccato massimo nella tradizione occidentale ebraico-cristiana perché, come precisato dal catechismo della Chiesa cattolica (a questo link), “Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel’ha donata. Egli ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo. Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente“.
Reato per la legge penale, sul presupposto giuridico dell’indisponibilità del bene della vita, se il soggetto che causa la morte agisce col consenso della vittima e se taluno determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio o ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione.
Molto più composite e differenziate, come sempre, le prospettive storiche, letterarie e poetiche: gesto civico, pedagogico e politico (Socrate), liberatorio (Seneca), romantico e letterario (il giovane Werther, Jacopo Ortis) e molto altro ancora.
Sentenze suicide
Il suicidio acquista rilievo anche dove nessuno se l’aspetterebbe, includendo anche gli atti tipici della funzione giurisdizionale, le sentenze.
L’art. 2, comma 1, lettera cc) del vigente Ordinamento disciplinare dei magistrati inserisce infatti tra gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni “l’adozione intenzionale di provvedimenti affetti da palese incompatibilità tra la parte dispositiva e la motivazione, tali da manifestare una precostituita e inequivocabile contraddizione sul piano logico, contenutistico o argomentativo“.
La tipizzazione di tale illecito postula evidentemente la presa d’atto della già avvenuta realizzazione di condotte ad esso corrispondenti, del danno che sono in grado di infliggere all’ordinaria fisiologia processuale e della necessità di impedire che altri episodi simili si verifichino in futuro.
Alcuni casi famosi di sentenze suicide
Non bisogna mai cedere alla tentazione di riscrivere dopo e peggio quello che altri hanno scritto prima e meglio.
Si invitano pertanto coloro che fossero interessati ad approfondire questa parte del discorso complessivo a leggere un apprezzabile saggio di Renzo Orlandi, “L’anti-motivazione (o delle sentenze suicide). In ricordo di una coraggiosa battaglia di Gennaro Escobedo” pubblicato in anteprima su disCrimen ad aprile del 2012 e poi su Giustizia Penale (consultabile a questo link).
Vi si troveranno le storie dei casi Mulas, Ferrigno e Sofri che meritano davvero di essere conosciute per le torsioni che caratterizzarono ognuno di essi.
Si consiglia inoltre la lettura di “Il giudice e lo storico. Considerazioni a margine del processo Sofri” di Carlo Ginzburg, edito da Quodlibet, 2020 (chi desiderasse un assaggio del testo, può trovarlo a questo link).
Un testo scritto dopo una capillare lettura degli atti processuali, scomodo, disturbante ma prezioso per la commistione degli oggetti dell’analisi (il linguaggio, la postura dei protagonisti, le assonanze storiche, in special modo con i processi della Santa Inquisizione).
Vale davvero la pena leggerlo, anche ma non solo per passaggi testuali come questo: “Ma l’impressione di continuità col passato che mi aveva colpito immediatamente non era legata soltanto agli aspetti istituzionali della fase istruttoria. Essa era dovuta a una somiglianza più sottile e specifica con i processi inquisitoriali che conosco meglio: quelli contro donne e uomini accusati di stregoneria. In essi la chiamata di correo ha un’importanza cruciale: soprattutto quando al centro delle confessioni degli imputati c’è il sabba, il convegno notturno di streghe e stregoni. Talvolta spontaneamente, più spesso incalzati dalla tortura o dalle suggestioni dei giudici, gli imputati finivano col fare i nomi di quanti avevano partecipato con loro ai riti diabolici“.
Per finire
Le sentenze suicide sono la negazione di ciò che intendiamo per processo penale.
Sono un atto di ribellione e arroganza intellettuale.
Sono credi individuali elevati a verità.
Sono verdetti nati prima e a prescindere dal giudizio cui si assegna il solo compito di ratificarli.
Sono il sonno della ragione e questo è quanto.
