La prima richiesta di revoca di condanna per abuso d’ufficio sarà presentata questa mattina a Roma all’apertura delle cancellerie.
Riguarda la condanna nei confronti del sindaco di un piccolo Comune laziale.
Nell’istanza si legge il seguente richiamo in premessa:
“Il 25 agosto 2024 è entrata in vigore la L. n. 114/2024, meglio nota come “Riforma Nordio”, avente ad oggetto “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare” (la versione ufficiale del testo, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 agosto 2024, è allegata alla fine dell’istanza)” ….
Tra le numerose modifiche c’è l’intervenuta “abrogazione del delitto di abuso d’ufficio previsto dall’art. 323 c.p. (con contestuale cancellazione di tutti i richiami al predetto articolo all’interno delle disposizioni del c.p. e c.p.p.)”…
Tutto ciò premesso si chiede che il giudice dell’esecuzione voglia dichiarare ai sensi dell’articolo 673 cpp la revoca della sentenza numero… emessa il… dal Tribunale collegiale di Roma, esecutiva dal …”.
Ricordiamo che in caso di revoca della sentenza di condanna per abolizione del reato deve revocarsi anche la misura della confisca, se applicata (così, Cassazione penale, Sez. III (ud. 12 gennaio 2018) 21 febbraio 2018, n. 8421).
Nel caso esaminato un soggetto condannato nel 2014 per fatti di omesso versamento IVA (art. 10-ter d.lgs. 74/2000) aveva formulato incidente di esecuzione ex artt. 666 e 673 c.p.p., chiedendo la revoca della sentenza, in virtù della parziale abolizione del reato derivante dall’innalzamento delle soglie di punibilità operato dal d.lgs. 158/2015.
Il giudice dell’esecuzione aveva deciso la revoca della sentenza perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato, ciò che aveva determinato anche la cessazione dell’esecuzione della pena e degli effetti penali, tra cui le spese processuali e di sequestro.
Tuttavia, lo stesso giudice aveva escluso l’applicabilità dell’art. 673 c.p.p. a quella parte della sentenza che aveva disposto la confisca per equivalente ai sensi dell’art. 322 ter c.p., e ciò in quanto tale misura era già stata eseguita e vi era già stata “l’acquisizione del bene a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato”.
Orbene, con la pronuncia richiamata la Cassazione ha annullato l’ordinanza disponendo la restituzione all’avente diritto di quanto confiscato.
Nella parte motiva, la Corte ha anzitutto ricordato: (i.) che l’art. 2 comma 2 c.p. stabilisce che se v’è stata condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali: (ii.) che l’art. 210 comma 1 c.p. dispone che l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione; (iii.) e che l’art. 673 c.p.p. prevede che, in caso di abrogazione della norma incriminatrice, il giudice dichiara che il fatto non è previsto dalla legge come reato ed adotta i provvedimenti conseguenti.
Sulla scorta di questi richiami normativi, i giudici hanno ritenuto che non vi sia dubbio che tra i provvedimenti conseguenti alla revoca della condanna vi sia anche la revoca di tutte le statuizioni accessorie che presuppongono la detta condanna, come nella specie, la confisca dei beni sequestrati.
Tale conclusione non può essere posta in dubbio dal fatto che la confisca sia diretta o per equivalente, né dalla sua natura di misura di sicurezza o sanzione. Ciò che conta è che si tratta di una misura obbligatoria che consegue ad una sentenza; qualora quest’ultima sia revocata, la confisca deve subire la stessa sorte.
Nemmeno la sua esecuzione costituisce elemento ostativo, a livello concettuale o a livello operativo, alla revoca, potendosi sempre disporre la restituzione dei beni illegittimamente acquisiti, e cioè di quanto concretamente realizzato dall’esecuzione, siccome lo Stato non può trattenere i beni senza titolo, essendo quest’ultimo venuto meno a seguito della norma abrogante.
