Il Rambo che è in noi: la prova di resistenza (Vincenzo Giglio)

Plurime decisioni della Suprema Corte contengono la locuzione “prova di resistenza”.

Non è un impegno da prendere alla leggera: se il ricorrente non lo rispetta, la sua impugnazione sarà considerata “aspecifica” e quindi inammissibile; se lo rispetta ma non riesce a dimostrare che l’eliminazione dei dati inutilizzabili o nulli travolge anche gli altri, l’impugnazione sarà rigettata.

L’espressione qui in esame rimanda a varie possibili situazioni.

Vengono in mente i corsi di sopravvivenza, cioè le occasioni formative in cui si impara a fare a meno delle comodità e degli ausili tecnologici e a resistere, ciò nonostante, a condizioni avverse.

Sono propagandati con slogan che fanno leva sul nostro retaggio ancestrale, del tipo “non sfidare la natura, sfida te stesso” e proposti alla potenziale clientela con formule accattivanti, come ad esempio “adrenalina pura”.

Pare proprio un marketing azzeccato se un grande della storia come Winston Churchill, dopo essere scampato a un attentato, disse che “Niente è più emozionante nella vita che vedersi sparare addosso e non essere colpiti”.

Si potrebbe anche pensare agli stress test ma si crede di avere già reso l’idea e non si insiste.