Nel sito web istituzionale del Ministero della Giustizia è stata pubblicata a fine giugno 2024 la serie storica semestrale dei detenuti presenti nelle carceri italiane nel periodo compreso tra il 1991 e il primo semestre del 2024 (la relativa tabella è consultabile a questo link).
Proviamo a mettere in ordine i dati che se ne possono trarre.
Popolazione carceraria presente: i picchi in basso e in alto
Al 30 giugno 1991, cioè alla fine del primo semestre preso in considerazione nella tabella storica, risultavano complessivamente presenti 31.053 detenuti.
Tutti i semestri successivi, nessuno escluso, riportano dati superiori a quello iniziale.
Il picco più alto è stato raggiunto poco meno di vent’anni dopo, precisamente il 30 giugno 2010, allorché la popolazione detenuta risultò comprendere 68.258 persone.
L’ultimo dato semestrale disponibile, quello al 30 giugno 2024, evidenzia un numero complessivo di 61.480 detenuti.
Le tendenze
Come si è già detto, il 30 giugno 1991 le strutture penitenziarie italiane ospitavano 31.053 detenuti.
Un anno dopo i detenuti presenti erano diventati 44.424.
Un anno dopo ancora si contavano 51.937 detenuti.
Un nuovo picco venne raggiunto il 30 giugno 1994: 54.616 detenuti.
Negli anni tra il 1995 e il 2000 si registrò una diminuzione ma il numero complessivo dei detenuti non si allontanò mai troppo dalla soglia di 50.000 (oscillando tra i 46.908 del 31 dicembre 1995 e i 53.537 del 30 giugno 2000).
Tra il 2001 e il 2006 il numero degli “ospiti” riprese inesorabilmente a salire, raggiungendo la nuova vetta di 61.264 unità il 30 giugno 2006.
Il semestre successivo segnò una svolta: i detenuti presenti diminuirono drasticamente (39.005 al 31.12.2006).
Fu un fuoco di paglia: solo un anno dopo i detenuti erano già 48.693, divennero 58.127 alla fine del 2008, 64.791 alla fine del 2009, fino a giungere al nuovo e tuttora insuperato picco di 68.258 detenuti al 30 giugno 2010.
Nel quinquennio successivo, tra il 2011 e il 2015, ci fu una nuova inversione di rotta. Il numero dei detenuti si ridusse costantemente fino ad assestarsi sui 52.164 presenti al 31 dicembre 2015 imputati.
La tendenza è cambiata ancora in questi ultimi anni: a partire dal 2016 i detenuti presenti sono sempre di più e l’ultimo dato della serie storica, fissato al 30 giugno 2024, segnala come già detto 61.480 detenuti.
Le cause delle oscillazioni della popolazione detenuta
Un tema si staglia prima e sopra ogni altro.
Da circa tre decenni la restrizione carceraria è uno strumento assai più centrale che in passato.
In grado di resistere anche quando, per input interni o esterni, si manifestino fenomeni ai quali ordinariamente seguono una minore necessità di difesa sociale e l’attenuazione della “pressione detentiva”.
Capace di prosperare perfino quando una parte delle istituzioni si mostri consapevole di quella minore necessità e agisca di conseguenza con misure appropriate.
Le sequenze statistiche storiche sono piuttosto chiare al riguardo.
All’inizio dell’ultimo decennio dello scorso secolo nelle carceri italiane erano presenti poco più di 30.000 detenuti.
Nel giro di un triennio quel numero quasi raddoppiò (circa 55.000 detenuti alla fine del 1994).
Si crede di non sbagliare individuando nella stagione della complessiva esperienza giudiziaria dapprima milanese e poi nazionale definita “Mani pulite” e negli anni di picco dello stragismo mafioso due tra i più rilevanti fattori di incremento della reattività istituzionale cui seguì il fortissimo aumento dei detenuti.
Due emergenze reali (corruzione sistemica e mafia), due sfide durissime alle quali le istituzioni reagirono con determinazione e di essa furono parte integrante strumenti normativi più efficienti e di maggiore latitudine applicativa, inchieste, misure cautelari, processi e condanne, criteri interpretativi più rigorosi.
La correlazione tra emergenze e aumento dei detenuti fu in quel caso chiara e la sua genesi corale e senza sbavature logiche.
Ciò che si nota invece negli anni successivi è la forza inerziale dell’aumentata propensione alla carcerazione e la sua progressiva distanza dalle dinamiche reali dell’ordine pubblico.
Nei sei anni tra il 1995 e il 2000 ci fu una diminuzione dei detenuti ma il loro numero non scese mai al di sotto dei 47.000, rimanendo dunque ben superiore al livello di inizio degli anni ’90.
Nel successivo decennio l’aumento riprese a ritmi mai conosciuti prima.
L’indulto concesso con la L. 241/2006 ridusse sì drasticamente la popolazione carceraria (39.000 detenuti a fine 2006) ma i ritmi forsennati di aumento del periodo successivo le fecero raggiungere in soli tre anni e mezzo il nuovo picco massimo (più di 68.000 a giugno 2010).
La pressione del Consiglio d’Europa dopo le ripetute condanne del nostro Paese per trattamenti disumani e degradanti in danno dei detenuti, la sentenza Torreggiani della Corte EDU del 2013 e il pacchetto di misure messe in campo dal legislatore per ridurre il drammatico sovraffollamento carcerario (indice del 151% nel 2010) produssero in verità effetti positivi ma i detenuti rimasero sempre abbondantemente sopra i 50.000.
E infine, volgendo lo sguardo a ciò che avviene in questi ultimi anni, si rileva un nuovo e marcato aumento dei detenuti complessivi e del sovraffollamento.
Per di più, questo avviene mentre le statistiche ufficiali sulla delittuosità nel nostro Paese evidenziano una progressiva e rilevante diminuzione dei reati commessi.
Questa tendenza si rispecchia in quasi tutte le classi di reato, compresi quelli più gravi e capaci di destrare il maggior allarme sociale.
Il carcere e un elevato numero di persone in carcere sembrano essere dunque diventati fatti strutturali e in buona parte insensibili all’andamento della delittuosità.
Le maggioranze politiche al potere nei periodi di maggiore incremento della popolazione detenuta
Nell’XI legislatura (23 aprile 1992 – 16 gennaio 1994) operarono i Governi Amato e Ciampi.
Nella XIV legislatura (30 maggio 2001 – 27 aprile 2006) operarono i Governi Berlusconi II e Berlusconi III.
Nella XV legislatura (28 aprile 2006 – 6 febbraio 2008), durante la quale fu comunque approvata la citata L. 141/2006 di indulto, operò il Governo Prodi II.
Nella XVI legislatura (29 aprile 2008 – 23 dicembre 2012) operarono i Governi Berlusconi IV e Monti.
Nella XVII legislatura (dal 15 marzo 2013 al 22 marzo 2018) operarono i Governi Letta, Renzi e Gentiloni Silveri.
Nella XVIII legislatura hanno operato i Governi Conte, Conte II e Draghi.
La XIX legislatura è in corso e l’unico Governo costituitosi è quello Meloni.
Maggioranze di ogni colore, come si può vedere: centrodestra, centro, centrosinistra.
E Governi anch’essi quantomai vari, tanto da rendere necessario il conio di sempre nuove formule per definirne l’essenza o lo scopo: tra queste, a titolo di esempio, il Governo del fare (formula adattabile a tutti i Governi Berlusconi), il Governo tecnico d’emergenza, ma anche il Governo del Presidente (Monti), il Governo delle larghe intese (Letta), il Governo del cambiamento (Conte I), il Governo di solidarietà nazionale o anche dei due presidenti (Draghi).
In mezzo a questo diluvio di formule ed espressioni, bisogna pur dire che, pur con diverse gradazioni e sfumature, nessun Esecutivo ha trovato la quadra per impedire che lo straripamento della popolazione detenuta diventasse strutturale.
L’atteggiamento della magistratura
È innegabile che anche la magistratura abbia concorso a quello straripamento, partecipando attivamente alla produzione del risultato che i numeri mettono in evidenza.
Questa partecipazione si è manifestata, come era lecito attendersi, quando le istituzioni e i cittadini – come avvenne nella prima metà degli anni ’90 – avvertirono all’unisono gli effetti gravemente lesivi delle due emergenze di cui si è detto e l’urgenza di contrastarle.
I numeri però sono rimasti alti anche negli anni immediatamente successivi al 2013 in cui la delittuosità diminuì, il sovraffollamento diventò una minaccia, la Corte EDU lanciò severissimi moniti e strumenti normativi deflattivi di ogni ordine e genere (misure di depenalizzazione, nuove cause di estinzione del reato o di esclusione della pena, regolamentazione più stringente del potere cautelare, maggiore incidenza della liberazione anticipata) furono immessi nell’ordinamento. Se quindi, nonostante la convergenza di condizioni sociali e normative tali da provocare una diminuzione della restrizione carceraria, questa non è avvenuta, viene naturale pensare ad una diretta influenza della giurisdizione.
Negli ultimissimi anni, infine, le maggioranze di governo hanno attribuito alla pena, soprattutto alla sua declinazione più afflittiva, il valore di un elemento identitario dei loro manifesti ideologici e l’efficacia di un passe-partout in grado di risolvere ogni male sociale. Si penserebbe che in periodi del genere la magistratura debba fisiologicamente assumere il suo ruolo di protettrice delle libertà e dei diritti umani essenziali. Eppure, i numeri sono sempre lì a dire che i detenuti stanno di nuovo aumentando in modo allarmante e che si torna a velocità impressionante ai livelli pre-Torreggiani.
La magistratura sembra dunque partecipe di questa sensibilità punitiva contemporanea.
