La lettera e le parole del Capo dello Stato
“In quindici è pressoché impossibile permanere in piedi in cella, figuriamoci seduti tutti al piccolo tavolino per mangiare, quindi facciamo a turno. Nei turni con noi, si accodano cimici, scarafaggi e altre bestiacce, che non ne vogliono sapere di rispettare la fila. Ben pensandoci però, più che mancanza d’intimità, non stiamo forse parlando di una vera e propria violenza? Violentati, intimamente, mentalmente, moralmente, proprio in linea con l’articolo 27 della Costituzione“.
È uno dei passaggi più forti della lettera (allegata alla fine del post) che un gruppo di detenuti nel carcere bresciano “Nerio Fischione” ha inviato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale vi ha fatto riferimento nella tradizionale cerimonia del Ventaglio, al dichiarato scopo di richiamare l’attenzione della comunità italiana e dei suoi rappresentanti sulla drammatica situazione delle carceri italiane: “Vi è un tema – queste le sue parole – che sempre più richiede vera attenzione: quello della situazione nelle carceri. Basta ricordare le decine di suicidi, in poco più dei sei mesi, quest’anno. Condivido con voi una lettera che ho ricevuto da alcuni detenuti di un carcere di Brescia: la descrizione è straziante. Condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza. Indecorose per un Paese civile, qual è, e deve essere, l’Italia. Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, non va trasformato in palestra criminale“.
Le informazioni
Proponiamo adesso ai lettori una piccola rassegna informativa sulle attuali condizioni del penitenziario bresciano, pensando che, come sempre, occorra sapere per potere poi, ove lo si desideri, partecipare consapevolmente al dibattito che la lettera e l’autorevole allarme lanciato dal Capo dello Stato hanno suscitato.
Dati ufficiali della Casa circondariale Nerio Fischione di Brescia Canton Mombello
Tutti i dati indicati in questo paragrafo sono tratti dalla scheda dell’istituto contenuta nel sito web istituzionale del Ministero della Giustizia (consultabile a questo link).
…Caratteristiche e storia
Il progetto risale alla fine dell’Ottocento, ma l’edificio fu inaugurato nel 1914. Il carcere è costituito da una struttura a T che si sviluppa in direzione nord-sud, con torre di sorveglianza; tale edificio si compone di circa 150 celle ed è affiancato dal settore degli uffici. A seguito del DM 2 marzo 2016 e di un successivo provvedimento del Capo Dipartimento, le direzioni della casa circondariale e della casa di reclusione di Verziano sono state unificate, anche se le due strutture restano distinte.
…Capienza e presenze (dati aggiornati al 13 agosto 2024)
L’istituto ha 182 posti regolamentari ma ospita 378 detenuti.
Questa proporzione equivale ad un tasso di sovraffollamento pari al 207,69%.
…Personale
Il posto del direttore dell’istituto è occupato dalla titolare.
Sono presenti 187 effettivi di polizia penitenziaria su 197 previsti, 18 dipendenti amministrativi su 30 e 8 educatori su 8.
…Spazi detentivi
L’istituto è dotato di cento celle, tutte disponibili. Novantuno di esse dispongono di doccia. Nessuna dispone di bidet, nessuna è attrezzata per portatori di handicap.
Dispone inoltre di quattro sale colloqui, tutte agibili, di una ludoteca, un teatro, un laboratorio, una palestra, un’officina, cinque aule e un locale di culto. Non esiste alcuna area verde.
…Formazione lavoro
Nessun corso di formazione è attivo al momento, così come nessun corso di istruzione.
Quanto ai detenuti che lavorano, si contano due addetti alla gestione differenziata dei rifiuti alle dipendenze di una cooperativa, un barbiere, sei addetti all’ufficio MOF (manutenzione ordinaria fabbricati), otto inservienti in cucina e quindici tra scopini e addetti alle pulizie degli uffici amministrativi, delle sezioni detentive e dell’infermeria. In nessuno di questi casi sono previste turnazioni.
…Attività culturali e sportive
Non risulta in corso alcuna attività di tipo teatrale, culturale, sportivo, religioso.
…Comunicazioni
I detenuti hanno in dotazione carte telefoniche ricaricabili mediante prelievo da loro conto interno.
Non sono ammesse videochiamate.
Dati diffusi dall’associazione Antigone (data dell’ultima visita: 29 novembre 2023)
Si rimanda integralmente all’apposta scheda curata da Antigone (consultabile a questo link).
Si potrà contare su informazioni di maggiore dettaglio e più estese e su un bel po’ di documentata controinformazione.
Altre fonti
Altre utili informazioni si possono ricavare dal reportage “Gli orrori del carcere di Brescia dove i detenuti pregano Dio di morire: “Cercate di non finire qua, è un manicomio”“, di Ilaria Carra e Rosario Di Raimondo, pubblicato il 25 luglio 2024 dal quotidiano La Repubblica (consultabile a questo link). Eccone un piccolo stralcio per farsi un’idea: “Chiusi in stanzoni da sedici letti, in camere da otto oppure in tre dentro una singola. Fra cimici e scarafaggi. I bagni hanno le vecchie turche, la doccia sopra, il fornelletto per cucinare a un passo. In alcuni buchi si gela d’inverno e si soffoca d’estate. I letti a castello bloccano l’apertura delle finestre. Durante l’ora d’aria, solo cemento“.
È anche interessante la lettura di una riflessione di Claudio Castelli, già presidente della Corte di appello di Brescia, pubblicata il 30 luglio 2024 su Giustizia Insieme (consultabile a questo link). Vi si parla di passerelle di politici, di promesse inattuate, di docce sopra le latrine, di invivibilità generale.
La nostra opinione
Sono molti i pensieri indotti dalla lettera dei detenuti bresciani.
Uno spicca su tutti gli altri.
La sensibilità sociale e politica che oggi sembra prevalere poggia su alcune certezze rocciose: noi, i liberi, siamo meglio di loro, gli incarcerati; noi siamo brava gente, loro sono feccia; noi rispettiamo le regole e meritiamo la nostra libertà, loro le hanno violate e meritano di perdere la loro.
Da questo nucleo duro ideologico derivano ricorrenti corollari che, al di là delle trascurabili schermaglie tra gruppi di opinione o formazioni partitiche, sono sostanzialmente condivisi da tutti coloro che esprimono la sensibilità di cui si è detto: la finalità rieducativa della pena può essere assicurata solo se sono parimenti e prioritariamente salvaguardate le sue componenti retributive e preventive generali e speciali; il rispetto di questa multidimensionalità della pena richiede che ne venga assicurata la certezza; allorché siano state inflitte pene detentive, vanno centellinate le misure lato sensu alternative in quanto in grado di attentare a quella certezza; l’amnistia e l’indulto, in quanto misure generali contrapposte frontalmente alla medesima certezza, vanno considerati come strumenti di un passato di cedimenti e debolezze istituzionali e definitivamente abbandonati.
La risultante oggettiva di questo pensiero complessivo è che l’attenzione legislativa attorno al carcere non è più, se mai lo è stata, focalizzata sui detenuti che vi scontano la loro pena o che vi attendono il giudizio, ma è invece irresistibilmente e ferocemente attratta dal simbolismo del luogo di pena per eccellenza.
Il detenuto è un elemento trascurabile del paesaggio carcerario, così tanto da scolorare sullo sfondo.
L’unica cosa che conta è il messaggio da trasmettere attraverso quel paesaggio: il carcere è un luogo infame, deve esserlo e non può che esserlo perché ogni individuo sappia la sorte che gli spetta se diverge dal modello del buon cittadino.
Questa è la visione di chi oggi ha le leve del comando: se ne può legittimamente dissentire, altroché, noi stessi l’abbiamo fatto più volte, ma sempre questa rimane.
Evitiamo quindi l’inutile esercizio di spiegare quanto sia sbagliata.
Preferiamo concentrarci su altro.
L’altro è il confronto imposto dalla lettera di cui si parla in questo post.
Da un lato i detenuti che scrivono e spiegano e attendono e sperano, dall’altro lo Stato che ha il dovere della loro custodia e lo assolve in modo da violare praticamente ognuno dei più importanti diritti umani dei custoditi.
Da un lato uomini e donne che non si fanno sopraffare dalla brutalità delle condizioni che gli sono riservate e conservano cuore e lucidità per comporre un testo che richiama alla memoria “Se questo è un uomo” di Primo Levi, dall’altro uno Stato che attraverso i suoi esponenti di punta gli riserva parole ingannevoli e indifferenza vera.
Da un lato esseri umani che, pur disponendo in abbondanza di stimoli per abbandonarsi alla violenza, scelgono le parole e la riflessione, dall’altro uno Stato che li considera e li tratta come nemici pericolosi.
È questa in conclusione la nostra opinione: nel carcere di Brescia la civiltà è dei detenuti riunitisi attorno a quella lettera, l’inciviltà è tutta dello Stato.
