Aggravante della destrezza: non ricorre se il soggetto agente si limiti ad approfittare della disattenzione o dell’assenza del detentore della cosa (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 32170/2024 ha ricordato che ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della destrezza, è necessario che l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, in particolare assegnare valore qualificante alla sola prontezza nell’avvalersi della situazione favorevole comunque creatasi significherebbe valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale, ponendo in secondo piano la materialità del fatto come concretamente offensivo del bene giuridico, in contrasto col principio di cui all’art. 25, secondo comma, Costituzione.

Le Sezioni unite hanno affermato che, in tema di furto, la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Sez. U, n.34090 del 27/04/2017, Quarticelli, Rv. 270088).

La Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha ricostruito il fatto evidenziando che l’imputato “[..] dopo essersi aggirato tra i vari clienti dell’esercizio commerciale, approfittando di un momento di particolare confusione e appurato che nessuno lo stesse osservando, cautamente, sottraeva merce di un certo valore economico, eludendo il controllo esercitato dall’addetto alla sorveglianza [..].

La sentenza di primo grado sullo specifico punto ha evidenziato che l’addetto alla sicurezza riferiva di avere visto il soggetto, poi identificato nell’imputato, scappare e di avere sentito suonare l’allarme antitaccheggio ma, stante la presenza di numerose persone nel negozio, di non avere avuto modo di vedere il furto e di bloccare l’autore.

Il Tribunale ha quindi ritenuto che l’abilità dell’imputato sia consistita nel riuscire nell’intento delittuoso “[..] nonostante la presenza di un addetto alla vigilanza che, pur avendo visto un uomo in fuga e sentito l’allarme dell’antitaccheggio, non è riuscito ad accorgersi dell’azione di furto, né ad impedire la fuga del suo autore [..].”.

È allora evidente che i giudici di merito non hanno fatto riferimento a una condotta dell’imputato caratterizzata da particolare abilità ed astuzia ma allo sfruttamento del vantaggio derivante da una obiettiva (e non provocata) situazione di confusione creatasi nel luogo del furto, che ha inciso di per sé sulla attività del soggetto deputato alla vigilanza.

Dunque, sulla base della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, la sentenza impugnata non si è adeguatamente e sufficientemente confrontata con le indicazioni contenute nelle Sezioni unite “Quarticelli”, nella parte in cui si è affermato che, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della destrezza, è necessario che l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res“.

In particolare – sottolineano le Sezioni unite- “[..]assegnare valore qualificante alla sola prontezza nell’avvalersi della situazione favorevole comunque creatasi significherebbe valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale, ponendo in secondo piano la materialità del fatto come concretamente offensivo del bene giuridico, in contrasto col principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che, menzionando il fatto commesso, esclude che il reato possa essere considerato in termini di sola rimproverabilità soggettiva e con la stessa natura oggettiva della circostanza[..]“.

La sentenza va dunque annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma perché rivaluti i presupposti di fatto per ritenere la sussistenza della circostanza aggravante alla luce della pronunzia delle Sezioni unite richiamata e dei principi in essa affermati.