Analisi genetiche comparative repertate e conservate in violazione dei protocolli scientifici internazionali: degradano a meri indizi privi di gravità e precisione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 27813/2024, udienza del 20 giugno 2024, stigmatizza le indagini genetiche condotte in violazione dei protocolli scientifici internazionali e ne depotenzia la valenza indiziaria.

Vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 29/1/2024, confermava l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Velletri il 08/01/2024, che aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di AN.

Ricorso per cassazione

Il difensore del ricorrente, per ciò che qui interessa, ha eccepito la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione alla mancata adozione dei criteri e dei protocolli internazionali in materia di refertazione e prelievo del DNA, che determina la non correttezza dell’accertamento e la compromissione di quegli esiti.

Osserva che il caso di specie presenta criticità con riferimento alla fase del repertamento del mozzicone di sigaretta, atteso che tra la raccolta del campione e la tipizzazione operata dai tecnici sono trascorsi mesi e ciò in una situazione nella quale nemmeno è chiara quale sia stata la catena di custodia dei campioni, con la conseguenza che risulta difficoltoso attribuire alle analisi genetiche una forte valenza probatoria.

Cita in proposito Sez. 5, n. 36080 del 27/3/2015, Knox, Rv. 264863 – 01, secondo cui, in tema di indagini genetiche, l’analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori.

Rileva, in particolare, che nel caso di specie il campione prelevato risulta numericamente più scarso del nanogrammo di materiale genetico richiesto per un test ordinario, per cui erano necessarie almeno tre diverse analisi del campione per avere una maggiore attendibilità del dato estrapolato; senza tacere che i risultati delle due amplificazioni in vitro analizzati sono stati sommati, anziché essere incrociati, con la conseguenza che è risultato un profilo genetico descritto come misto.

Decisione della Corte di cassazione

Secondo una prima impostazione, in tema di indagini genetiche, l’analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori (Sez. 2, n. 38184 del 6/7/2022, Rv. 283904 – 04; sezione 5, n. 36080 del 27/3/2015, Rv. 264863 – 01).

Secondo un altro orientamento, invece, in tema di indagini genetiche, l’eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta l’inutilizzabilità del dato probatorio, ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l’esito dell’esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità (Sez. 6, n. 15140 del 24/2/2022, Rv. 283144 – 01). Sulla base di detto principio la Corte di legittimità ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva attribuito all’imputato l’utilizzo del guanto da cui era stato estratto il DNA, pur se il prelievo non era avvenuto con guanti sterili, stante la mancanza sul supporto di tracce riferibili a soggetti diversi.

Tanto premesso, il collegio convintamente intende dare continuità al primo orientamento, innanzitutto per ragioni di ordine generale, atteso che nel processo penale possono trovare ingresso solo esperienze scientifiche verificate secondo canoni metodologici generalmente condivisi dalla comunità scientifica di riferimento.

Dunque, l’utilizzabilità dei risultati della prova scientifica comporta inevitabilmente il rispetto delle regole che ne disciplinano l’acquisizione e la formazione all’interno del processo, con la conseguenza che il giudizio di affidabilità dei relativi esiti deve essere parametrato sulla osservanza di preordinate garanzie nell’iter formativo della prova: detto altrimenti, il procedimento di assunzione della prova incide sui risultati cui la stessa perviene, inficiandoli irreparabilmente nel caso in cui risultino violate le regole che ne presidiano la formazione Venendo ora più specificamente alle indagini genetiche, giova innanzitutto rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo in più occasioni di riconoscere la valenza processuale dell’indagine genetica condotta sul DNA, in considerazione dell’elevatissimo numero di ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore (Sez. 2, n. 38184/2022, cit., in motivazione; Sez. 5, n. 36080/2015 cit., in motivazione; Sez. 2, n. 8434 del 5/2/2013, Rv. 255257 – 01).

Ciò posto, la questione che rileva nel caso che si sta scrutinando è quella di stabilire quale valenza processuale debba attribuirsi agli esiti di una indagine genetica svolta in violazione delle regole cristallizzate nei protocolli internazionali e di quelle cui normalmente deve ispirarsi l’attività di ricerca scientifica.

La risposta al quesito deve trovare fondamento nei principi generali in tema di valutazione della prova, alla luce dei quali è possibile affermare che l’indizio dal quale risalire al fatto ignoto da provare deve essere certo (cioè, connotato da gravità, precisione e concordanza), atteso che, in tanto si può pervenire alla dimostrazione del tema di prova, in quanto si parta da un fatto noto, vale a dire accertato come tale.

Diversamente opinando, qualora cioè il ragionamento dovesse muovere da premesse fattuali incerte, si perverrebbe ad un risultato del tutto fallace.

Orbene, l’affidabilità (rectius: la certezza) dei risultati cui perviene l’analisi genetica dipende dalla correttezza del procedimento seguito, le cui regole sono consacrate nei protocolli, atteso che, «cristallizzando i risultati di collaudate conoscenze, maturate in esito a ripetute sperimentazioni e significativi riscontri statistici di dati esperienziali, quelle regole compendiano gli standard di affidabilità delle risultanze dell’analisi, sia in ipotesi di identità, che di mera compatibilità con un determinato profilo genetico. Diversamente, al dato acquisito non potrebbe riconnettersi rilevanza alcuna, neppure di mero indizio» (Sez. 5, n. 36080/2015 cit.).

In altri termini, l’analisi genetica, svolta in violazione delle prescrizioni dei protocolli in materia di repertazione e conservazione, priva del carattere di gravità e precisione – ergo, di certezza (sia pure intesa non in termini di assolutezza, ma quale categoria processuale cui si giunge attraverso il procedimento probatorio) – i risultati cui è pervenuta.