Mi è capitato spesso di passare, entrando in tribunale, attraverso sit-in o manifestazioni organizzate dai familiari di vittime di reati.
Premetto che comprendo il dolore e lo strazio che investe le vite dei parenti e degli amici di vittime di reati spesso efferati, il senso della perdita e l’urgenza angosciante di comprendere cosa è accaduto e perché.
Vedere persone dietro il manifesto che riporta la frase “Vogliamo giustizia” suscita tuttavia una domanda che può sembrare provocatoria: volete giustizia o volete avere ragione e quindi avere un colpevole a prescindere dall’esito del giudizio?
Queste manifestazioni accompagnano di norma il processo che si sta svolgendo per accertare la responsabilità di chi è indicato dall’accusa come autore del reato: si manifesta davanti al tribunale e poi si entra per assistere al processo.
La richiesta di giustizia è un modo per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul caso giudiziario in fase di svolgimento.
Ma rimane l’interrogativo iniziale se per “Vogliamo giustizia” si intenda “Vogliamo avere ragione” o sia una legittima richiesta di attenzione sul caso giudiziario che magari è rimasto per anni insoluto o si trascina per anni nell’ingolfata giustizia di questo Paese.
Perché “Vogliamo giustizia” deve sottostare alla regola della risoluzione imparziale di un conflitto da parte di un giudice.
Un conto è la ragione di giustizia, cosa diversa è il sentimento delle vittime.
Le “aspettative dei parenti delle vittime non possono diventare fonte di responsabilità penale” (così, Filippo Sgubbi, Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa, il Mulino, 2019).
