La magistratura si sente assediata dalla politica: parliamone (Vincenzo Giglio)

Premessa

Chi entri in questi giorni nell’homepage del sito dell’Associazione nazionale magistrati (a questo link) noterà in primo piano scritti e comunicati dai toni sempre più allarmati, che siano difensivi o reattivi: “La separazione delle carriere aumenterà i problemi dei cittadini“, “I magistrati non ricattano la politica“, “Un clima avvelenato contro la magistratura“.

Un clima da assedio, quindi, che tuttavia non distoglie i rappresentanti dei magistrati associati dalla proclamazione di verità assunte come indiscutibili: la magistratura non è politicizzata; l’obbligo di dar seguito alle notizie di reato ed esercitare l’azione penale ove ve ne siano le condizioni vale per tutti, politici compresi; è irriflessivo gridare alla violazione del principio di non colpevolezza e al tradimento della volontà del corpo elettorale ogni qualvolta un politico eletto a cariche istituzionali sia sottoposto a misure cautelari che gliene impediscono l’esercizio; l’eventuale assoluzione del politico indagato non rende iniqua o illegittima l’attività giudiziaria svolta nei suoi confronti, appartenendo alla fisiologia del processo; in generale, la funzione giudiziaria è svolta nel rispetto del quadro fissato dal legislatore, sicché spetta a quest’ultimo, ove ritenga opportune o indispensabili deroghe al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, trasformarle in diritto positivo; se così fosse, PM e giudici si adeguerebbero prontamente alla mutata volontà parlamentare.

Sullo sfondo, ma posizionata come lo sguardo della Gioconda che sembra non abbandonare mai chi la osserva, l’ultima sconvolgente verità: chi colpisce la magistratura colpisce i cittadini, chi ne limita l’autonomia e l’indipendenza diminuisce la libertà della gente comune, rendendola più facilmente aggredibile dagli altri poteri.

È questa, dunque, l’immagine che i vertici della magistratura associata – la quale, è bene ricordarlo, include più di nove magistrati su dieci – offrono del potere giudiziario e si può solo prenderne atto.

Così come si può ricordare che Terzultima Fermata ha partecipato attivamente al dibattito sulla cosiddetta separazione delle carriere, pubblicando vari post e dando così spazio a molteplici prospettive (a questo link per quella di chi scrive, sostanzialmente improntata all’inutilità della riforma).

Commento

L’ANM ha parlato e la sua opinione merita rispetto.

Si è convinti che parte integrante del rispetto siano oltre che l’ascolto attento, anche il confronto e la critica, sempre che l’una e l’altro siano correttamente e plausibilmente argomentati.

…L’ineludibile confronto con Mani pulite

Quando si parla del rapporto tra magistratura e politica, termine qui usato in senso lato e comprensivo non solo delle formazioni politiche in senso stretto che si contendono il consenso dei cittadini e del corpo elettorale ma anche delle istituzioni pubbliche che dalla politica promanano, è ineludibile il richiamo della stagione giudiziaria germinata e consolidatasi nei primi anni Novanta dello scorso secolo, nota al pubblico come Tangentopoli o Mani Pulite.

Per la straordinaria importanza che essa ebbe, per le dimensioni della devianza sistemica che ne costituì l’oggetto, per il coinvolgimento di migliaia di persone e tra queste gran parte dell’establishment istituzionale e imprenditoriale dell’epoca, per il clamore mediatico che la accompagnò costantemente, per la singolarità delle tecniche investigative e del ricorso agli strumenti cautelari che la caratterizzò, per lo sconvolgimento degli equilibri politici dell’epoca.

Ma anche, e oggi soprattutto, per le modifiche permanenti che ha lasciato negli equilibri interni della giustizia e in quelli esterni tra la giustizia e gli altri poteri pubblici e i cittadini.

Si parla, insomma, del retaggio duraturo di Mani Pulite.

…L’interesse mediatico per la giustizia penale

La giustizia penale, i suoi luoghi e i suoi riti continuano ad essere oggetto di un fortissimo interesse mediatico.

Non è un fenomeno nato con Mani Pulite, sia chiaro, ma l’inchiesta milanese gli impresse tuttavia una formidabile accelerazione e, se così si può dire, sdoganò la cronaca giudiziaria trasformandola in qualcosa di nuovo e diverso: i resoconti dei processi acquisirono in quegli anni una valenza politica, sociale e di costume, i cronisti giudiziari divennero sempre più spesso anche scrittori e opinionisti, il legal divenne un importante genere letterario frequentato da autori illustri, le inchieste più importanti e attrattive furono scandagliate senza risparmiare nessun possibile retroscena e i magistrati di Mani Pulite contribuirono largamente a tutto questo.

È sotto gli occhi di tutti che questa presa del complessivo circuito massmediatico su indagini e processi non è mai cessata e continua con ancora maggiore forza anche oggi.

Lo stesso vale per i principali effetti del fenomeno: l’immediatezza dello stigma, le ondate di indignazione verso gli indagati oggi aggravate dalla disponibilità delle piattaforme social e dalla facile aggregazione di odiatori in servizio permanente.

Tanto è forte la presa che ci sono voluti ben cinque anni perché il nostro Paese recepisse con il decreto legislativo n. 188/2021 la direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali. E si continua peraltro a gridare allo scandalo perché si è osato ricordare che nessuno può essere presentato come colpevole senza esserlo nei modi previsti dalla legge così come nessuno può abusare della sua qualifica di inquirente e dell’attenzione privilegiata riservatagli dai mass media per diffondere giudizi prematuri o per dichiarare che intende rivoltare come un calzino questo o quel territorio o ambito.

…La neolingua giudiziaria

Altrettanto forte e sempre più estesa e creativa è la neolingua giudiziaria.

Non è soltanto un fatto linguistico, si badi bene.

L’uso delle parole non è mai neutro e lo si può constatare nella proliferazione di espressioni che, dietro una rassicurante normalità, celano visioni che di rassicurante hanno ben poco.

A questa mistificazione semantica hanno partecipato e continuano a farlo sia il legislatore che il giudice.

Ci si fa aiutare come di consueto da qualche esempio.

Si pensi, senza andare troppo indietro nel tempo, al contratto per il governo del cambiamento che mise nero su bianco la materia prima su cui avrebbe lavorato il Governo Conte I, il primo della XVIII legislatura, sorretto dalla coalizione formata dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega.

Vi si parlava di “revisione” del regime penitenziario aperto ma ciò che si intendeva dire era che quel regime sarebbe stato sostanzialmente abbandonato per tornare alla clausura più rigorosa.

Si proclamava solennemente di volere salvaguardare la dignità dei detenuti ma si programmava di farlo costruendo nuove carceri.

Lo stesso Governo varò il decreto cosiddetto “sicurezza bis” e nessun cittadino potrebbe dolersi di un provvedimento che serve a farlo vivere più serenamente e al riparo da rischi ma il suo bersaglio vero furono gli immigrati irregolari e, pur non sottovalutando la sfida sociale ed economica che flussi migratori troppo ampi e incontrollati possono lanciare ad una qualunque comunità, finanche la più accogliente, sembra decisamente forzato additare come apogeo della pericolosità individui che nella maggior parte dei casi hanno il solo torto di non potere sfamare le famiglie o provenire da territori di guerra.

Meccanismi del genere si manifestano anche in periodi più vicini.

Si pensa in questo caso alla Legge delega per la riforma della giustizia penale patrocinata dalla ministra Cartabia. Nel suo art. 1, comma 1, si ha cura di precisare che la riforma ha finalità di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo ma nel rispetto delle garanzie difensive.

La declinazione pratica di questa felice coniugazione comporta tuttavia l’adozione ordinaria del rito camerale non partecipato per la definizione dei giudizi di appello e l’aggiunta del vizio di aspecificità come nuova causa di inammissibilità dei motivi di impugnazione in secondo grado.

È come dire: un po’ meno di difesa, un po’ più di difficoltà negli appelli.

Di nuovo un caso di mistificazione concettuale, almeno così pare.

La stessa tendenza, ma con intensità maggiore ed effetti più dirompenti, è dato cogliere nella giurisprudenza di legittimità e di merito.

Lo stesso può dirsi della tendenza a valorizzare (e tesaurizzare) una pretesa superiorità etica della classe magistratuale e, per investitura discendente, di chiunque, singolo o organizzazione che sia, professi acriticamente il culto di quella classe e del dogma della sua infallibilità.

Certo, il cosiddetto caso Palamara (denominazione fin dall’inizio gravemente sbagliata per difetto) ha reso meno perentoria quella pretesa ma non l’ha annichilita sicché, incredibilmente, è ancora necessario confutarla.

…Le modifiche di fatto degli equilibri interni alla magistratura

Sono ancora tra noi, ugualmente, le modifiche di fatto ma non per questo meno decisive che Mani Pulite, seppure non da sola, apportò agli equilibri interni della giustizia penale.

Oggi, ancora più di trent’anni fa, gli uffici del pubblico ministero sono il centro di comando della giustizia penale; tutto ciò che conta nei procedimenti penali avviene nella fase delle indagini preliminari dominata dalle Procure; le forme e i luoghi delle successive fasi giurisdizionali sono più frequentemente di quanto si vorrebbe miseri simulacri la cui unica funzione è ratificare verità decise prima e a prescindere e come tali insensibili al contraddittorio tra le parti; la difesa è spesso un ospite sgradito e tollerato con malcelato fastidio.

A ciò si aggiunga che la gerarchizzazione delle Procure dovuta alla riforma Mastella del 2006 ha trasformato i loro capi in potenti feudatari, dotati di autonomi poteri di giustizia esercitabili al di fuori di ogni possibilità di controllo e senza dover rendere conto ad alcuno del loro uso e dei loro risultati; tanto più è importante un territorio tanto maggiori sono i poteri del capo della Procura che vi è insediata, al punto che la direzione di Procure come quelle di Milano e Roma conferisce al suo titolare un potere e un’influenza negli equilibri nazionali paragonabili a quelli di un leader politico o di un esponente istituzionale di primo piano.

Il risultato di  queste condizioni di fatto ha comportato un’alterazione innegabile degli equilibri e dei contrappesi sui quali si regge l’architettura istituzionale italiana: il potere giudiziario, particolarmente quello degli inquirenti, ha acquisito da decenni un’inedita centralità che gli conferisce, quantomeno su un piano astratto, la capacità non solo di ostacolare le funzioni e gli scopi del legislativo e dell’esecutivo ma addirittura di influenzarne l’esercizio in direzioni corrispondenti ai suoi scopi di parte; al tempo stesso la politica, come dimostrato dalla vicenda Palamara, piuttosto che contrastare in modo trasparente questa deriva, la asseconda e recupera almeno in parte un suo ruolo inserendosi indebitamente nei meccanismi decisionali dai quali dipende la scelta dei capi delle Procure; ne deriva quindi un consociativismo indistinto che lega e fonde interessi e prospettive che dovrebbero rimanere separati.

…La condizione delle persone sottoposte alla pretesa punitiva statuale

Resta infine un ultimo confronto ed è quello che riguarda coloro che si trovano sottoposti alla pretesa punitiva statuale.

Non pare davvero che la loro condizione sia migliorata.

Le esigenze cautelari, oggi come ai tempi di Mani Pulite, sono soddisfatte in misura assolutamente prevalente con la custodia cautelare o gli arresti domiciliari, a dispetto dell’ampia gamma di strumenti contenitivi offerta dal codice di rito. In carcere e di carcere si continua a morire e i ristretti sono ancora trattati come vuoti a perdere di cui importa solo a pochissimi.

Garanzie procedimentali primarie sono costantemente svuotate o messe in crisi da criteri interpretativi e canoni valutativi sempre più indifferenti ai diritti umani fondamentali.

Indagati e imputati rimangono sotto il tallone della giustizia per anni e anni e nel frattempo assistono impotenti allo sfacelo delle loro vite, subendo danni che niente e nessuno potrà mai risarcire.

Per finire

Queste sono in conclusione le impressioni di chi scrive, accompagnate da un senso di inquietudine per un meccanismo di tale intensità negativa da sembrare ormai sfuggito ad ogni reale controllo.

E se, in ipotesi, tutte o anche solo alcune di esse corrispondessero a verità, si dovrebbe concludere che la magistratura associata sarebbe più credibile se, oltre a gridare allo scandalo, riflettesse anche sulle tendenze di lungo periodo che ne hanno minato l’autorevolezza e la credibilità.