Autoriciclaggio e causa di non punibilità prevista dall’art. 648-ter.1, comma 5, cod. pen. (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 30550/2024 ha indicato gli elementi che concorrono al reato di autoriciclaggio e le condizioni che rendono applicabile la causa di non punibilità prevista dall’art. 648-ter.1, comma 5, cod. pen.

La condotta tipica del delitto di autoriciclaggio consiste nell’impiegare, sostituire, trasferire in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto (delitto, a decorrere dal 15 dicembre 2021, anche colposo, o, sempre a decorrere dal 15 dicembre 2021, anche contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi), in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Due elementi concorrono perciò alla delimitazione dell’area di rilevanza penale del fatto:

a) i beni provenienti dal reato presupposto devono essere tassativamente destinati ad attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative;

b) le condotte menzionate devono essere idonee a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza da reato del loro oggetto.

Ai fini dell’individuazione della condotta di dissimulazione, il criterio da seguire è quello dell’idoneità ex ante, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacità decettiva (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Rv. 279407-01.

In senso analogo, Sez. 2. n. 16908 del 05/03/2019, Rv. 27641.9-01, la quale ha precisato che l’intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine effettuate dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l’idoneità ex ante della condotta a ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa).

Ai fini dell’integrazione del reato, non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento all’identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo a ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza (Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, Rv. 276974-01).

La condotta di dissimulazione è configurabile allorché, successivamente alla consumazione del reato presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione a un terzo, persona fisica ovvero società di persone o di capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca e individuazione del successivo trasferimento (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Rv. 279407-02; successivamente, in senso analogo: Sez.  2, n. 13352 del 14/03/2023, Rv. 284477-01).

La Corte di cassazione ha altresì statuito che sia operazioni di movimentazione bancaria, sia plurimi acquisti di beni mobili e immobili anche a sé intestati, ostacolano l’accertamento dell’origine illecita delle somme di denaro impiegate (Sez. 2, n. 4885 del 22/12/2022, dep. 2023, Rv. 284390-01).

Ai sensi del quarto (ora quinto) comma dell’art. 648-ter.1 cod. pen., «[f]uori dei casi di cui ai commi precedenti», non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La Corte di cassazione ha chiarito che la citata clausola «[F]uori dei casi di cui ai commi precedenti» «va intesa ed interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti.

Di conseguenza, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa» (così: Sez. 2, n. 30:399 del 07/06/2018).

Successivamente, nello stesso senso: Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, Rv. 275528-02). Nel caso in esame le conformi sentenze dei giudici di merito, nell’affermare (il Tribunale di Cremona) e nel confermare (la Corte d’appello di Brescia) la responsabilità dell’imputata per il delitto di autoriciclaggio a lei attribuito hanno rappresentato come la M. avesse impiegato la totalità della somma (Euro 233.400,00) proveniente dalla commissione del presupposto delitto di furto ai danni di G.G. e ormai presente sul proprio conto corrente bancario nell’acquisto di polizze vita a sé intestate, quindi, in attività finanziarie, sottolineando anche come il fatto che l’imputata avesse investito nel suddetto acquisto delle polizze vita, oltre alle somme che erano state sottratte al G., anche somme di cui era legittimamente titolare (per un importo complessivo di Euro 280.000,00) – con il conseguente «discostamento» tra le somme provenienti dal delitto di furto e quelle reinvestite – concorresse a ostacolare la tracciabilità dell’origine delittuosa del denaro.

Tale motivazione appare avere fatto corretta applicazione dell’art. 648-ter.1 cod. pen. e dei ricordati principi che sono stati affermati dalla Corte di cassazione al riguardo, avendo in particolare evidenziato il comportamento decettivo realizzato dall’imputata mediante l’indicato impiego delle somme costituenti il profitto del presupposto delitto di furto nell’acquisto di polizze vita a sé intestate, tanto più che, in occasione di tale impiego, le stesse somme erano state “confuse” con altre di cui l’imputata era legittimamente titolare. Impiego, questo, idoneo, ex ante, a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa delle stesse somme, senza che potesse rilevare, perciò, l’intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine effettuate dopo la consumazione del reato, del menzionato impiego di esse (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, cit.; Sez. 2. n. 16908 del 05/03/2019, cit.), né il fatto che le suddette polizze vita fossero state acquistate con il denaro presente sul conto corrente sul quale erano state bonificate le somme sottratte alla persona offesa e fossero state intestate alla stessa imputata (Sez. 2, n. 4885 del 22/12/2022, dep. 2023).

Avendo evidenziato il compimento, da parte della M., di operazioni atte a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme profitto del presupposto delitto di furto, la stessa Corte d’appello di Brescia, correttamente non ha, di conseguenza, reputato che potesse ricorrere la causa di non punibilità prevista dal quarto (ora quinto) comma dell’art. 648-ter.1 cod. pen., la quale, come si è detto, può trovare applicazione solo quando, in assenza di operazioni atte a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, l’agente li utilizzi o ne goda in modo diretto, senza compiere su di essi operazioni decettive del tipo indicato (Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, cit.; Sez. 2, n. 30399 del 07/06/2018, cit.).